primo - Úrsula Iguarán

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Al piano di sotto viveva Gavrilo, uno di quei vicini di casa che sono un po' come una famiglia; una vera, però. Veniva dalla Iugoslavia e suo padre era stato partigiano assieme a Tito. Se l'erano passata bene per un po' di anni, raccontava sempre Gavrilo, poi c'era andato di mezzo Milošević con il nazionalismo e con i serbi, e quelli intelligenti erano tutti scappati.

Maria pensava che doveva essere successo un bell'affare, se un uomo era arrivato a scappare fin dall'altra parte del mondo, ma era anche vero che, a differenza di suo padre partigiano, a Gavrilo i comunisti non piacevano e che l'America doveva sembrare un gran bel posto per chi non ama i comunisti. Da lassù alla Colombia, poi, la distanza non era che un volo di linea.

Non c'era spazio per Gavrilo, in America. Alla gente bastava sentirlo parlare con quell'accento pieno e squisitamente slavo per cambiare atteggiamento e, se ai più incuteva timore, agli altri metteva rabbia. A ben pensarci, Gavrilo passava inosservato soltanto nel caotico candore colombiano, dove non importava da che parte stesse, ma che sapesse fare il suo lavoro. E lo avevano davvero inquadrato bene, a Cali: Gavrilo era il biochimico più preparato che Maria avesse mai avuto modo di vedere in un laboratorio. Pierre Curie, in un certo senso, solo con il cocaetilene al posto della piezoelettricità.

Ben pensandoci, a Gavrilo mancava soltanto una cosa: la corrente. Gli impianti del suo appartamento erano saltati mesi prima e nessuno era mai venuto a ripararli, anche se la cosa non lo aveva affatto scoraggiato: leggeva nell'androne, di solito, alla luce di una vecchia lampadina che penzolava dal soffitto. Puntuale, ogni mattina trascinava fuori di casa una sedia di plastica e si piantava accanto alla tromba delle scale vestito di tutto punto e pronto a essere scorbutico con chiunque si azzardasse a dargli il buongiorno. Le prime volte, la signora del terzo piano gli aveva portato del caffè, ma era un'accortezza che era finita subito, sparita nella parvenza della cortesia che si riserva a un estraneo.

Maria non era interessata a portare del caffè a Gavrilo; lo conosceva abbastanza da sapere che detestava qualsiasi cosa non contenesse alcol, senza contare che disponeva di mezzi ben più interessanti per comprarlo. Una sigaretta, ad esempio, o ancora meglio: del lavoro da fare.

«Che leggi?», gli chiese, scavalcando la ringhiera sugli ultimi grandini per arrivargli alle spalle.

Gavrilo, ben dritto sulla sedia ed elegante persino nella maniera in cui voltava pagina, schioccò la lingua sul palato. «Cent'anni di solitudine», rispose semplicemente. Aveva addosso un paio di pantaloni scamosciati e una camicia bianca. Si doveva esser fatto la barba da poco, poiché profumava di menta.

Maria non lo ascoltò nemmeno. Scivolò vicino a lui, sedendosi a terra a gambe incrociate e si passò entrambe le mani sul collo, massaggiandolo piano. Era ancora intorpidita dal sonno. «Sentito la grandine?», chiese, sbirciando il titolo del libro, accertandosi che il suo vicino non l'avesse presa in giro in quella risposta così poco sentita. «Cent'anni di solitudine, però.»

«Ursula Iguarán. Ti somiglia, sai?» Gavrilo chiuse il suo libro e rivolse a Maria un'occhiata arguta. «Stacanovista, piccola, acuta. Campagnola

Maria non raccolse. «La grandine l'hai sentita?», insistette, legandosi i lunghi capelli corvini dietro al capo con l'elastico che portava attorno al polso destro.

Gavrilo non la degnò di alcuna attenzione. Una volta che si era messo sulla sua strada, non c'era modo di farlo tornare indietro. «Ah, e la parte migliore. Lo sai che, per paura di mettere al mondo un mostro, non è andata a letto con suo marito? L'ho visto il tuo José, stamattina: andava piuttosto di fretta, forse non voleva prendere la grandine.»

Eccola, la sua strada. La preziosa golosità di un pettegolezzo che per puro caso non doveva sentire da altri perché era stato lui a coglierlo per primo!

Maria assottigliò lo sguardo sul suo viso, un'occhiata tagliente tanto quanto una minaccia. «Zitto», gli intimò, ma quell'uomo doveva aver sfidato visi ben più pericolosi di quello di una donna colombiana sulla trentina per lasciarsi spaventare così.

«Bé», riprese infatti, ironico, il libro malamente piegato sulle ginocchia. «Stanotte stranamente ho chiuso occhio. Ma quando ci siete voi due di sopra ... non è cosa, no. Quindi, mi chiedo cosa ti abbia spaventato, Signora Iguarán. La coda di porco o il porco in sé?»

Con Gavrilo, discutere era impossibile; la sua lingua era molto più lunga di quella di una segretaria particolarmente pettegola e i suoi modi assai più infami. Non provava vergogna, non per la maggior parte del tempo, e sapeva essere così subdolo che talvolta persino la sua sola vista era sufficiente a far venire il malumore. Veleno a parte, restava un brav'uomo e questo era l'unico motivo per cui Maria non se la prendeva mai con lui.

Si offese un po' alle sue parole, ritraendosi, ma non disse nulla. Il suo capo si volse alle scale che la sovrastavano, i suoi occhi corsero lungo il corrimano dell'androne, accarezzando fugacemente il profilo scuro della tromba lasciata al buio dalla poca luce che illuminava quella giornata di pioggia. Immaginò le scarpe di Javier ticchettare sui gradini nel silenzio della notte, il fruscio dei suoi vestiti mentre velocemente scendeva fino alla macchina parcheggiata davanti al portone. L'odore di tabacco di cui era impregnata la sua camicia le invase improvvisamente le narici in un ricordo che sapeva di malinconia.

«Lascia perdere», buttò lì, alzando le spalle in direzione di Gavrilo, e tornò a crogiolarsi nelle fantasie che quell'aroma le suscitava.

Una delle poche cose che l'avevano rallegrata, nel viaggio di ritorno da Palmira a Bogotà, era l'idea che Javier fosse lì ad aspettarla, distante nient'altro che un colpo di telefono. Era stata felice di rivederlo dopo mesi, di sentirlo sospirare contro la sua pelle, di provare il piacere di avere addosso il suo corpo nudo. Ma non era andata così. Si era sentita di colpo sporca, sgualcita, si era sentita addosso una vergogna che non provava da anni, e allora l'aveva allontanato, scusandosi con una scrollata di capo e una mano sul viso, come a coprire l'imbarazzo del non riuscire a godere di una sensazione che le era anche troppo familiare.

«Cristo, Gavrilo, fai proprio schifo», commentò, scuotendo il capo e ricacciando coraggiosamente in fondo alla gola un silenzioso nodo di lacrime. La fantasia si era rovinata. «Ti metti a spiarmi, adesso?»

Per risposta, lui arricciò le labbra in un'espressione tediata. «Quando uno si annoia, anche la grandine diventa alquanto eccitante», replicò, sbuffando. Poi si voltò a guardarla. «Senti un po', Ursula, com'è che sei scesa così presto?»

Maria decise di non sindacare sulla permanenza o meno di quel soprannome e sospirò, ficcando le mani nelle tasche del suo impermeabile. Si tirò dritta sulle gambe, battendo involontariamente i tacchi sul pavimento di marmo. «Diluvia», rispose. Alzò il mento verso il soffitto, poi si voltò a guardare Gavrilo. «Sicuramente non ci sarà gente per i boschi. Pensavo che potevamo metterci al lavoro.»

«Ah, lo vedi qual è il problema di voi chimici? Pensate, pensate, ma non fate mai altro.» Alzandosi, l'uomo scrollò le spalle. Si sistemò la camicia sul petto, si infilò in testa la coppola che fino a quel momento era rimasta appoggiata a terra e infine tolse la giacca dallo schienale, indossandola con un gesto fluido e raffinato. «Il segreto della vita è un altro, sai?»

Maria si strinse al soprabito. «Illuminami», disse, accennando un sorriso sul viso stanco.

Incamminandosi verso la porta spalancata del suo appartamento, Gavrilo le porse il libro che prima era impegnato a leggere. «Comincia dal porco, Signora Iguarán», la invitò, e sulle sue labbra apparve un sorriso che sapeva di dolcezza, quasi fosse quello che un padre rivolge alla figlia nel più docile dei riguardi. «Intanto prendo le chiavi della macchina.»

Rimasta sola nell'androne, Maria prese il posto di Gavrilo sulla sedia di plastica. Guardò a lungo la copertina di quel libro, un vecchio volume dall'odore di marcio che era stato foderato con una carta da pacchi marrone per evitare che si sfaldasse. Lo aprì e ne accarezzò le pagine con la stessa delicatezza che si riserva a un amante, lasciando i suoi occhi liberi di scorrere le parole senza soffermarsi sulle frasi.

Alla fine, quando Gavrilo sbucò di nuovo nell'atrio con le chiavi in una mano e la borsa nell'altra, la trovò immersa nella lettura.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 13, 2016 ⏰

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