JAMES

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Solo. Completamente solo. Lo avevano abbandonato, cacciato malamente dal gruppo da lui creato e modellato. "Come hanno potuto!? Ma se ne pentiranno! Creerò un nuovo gruppo, più forte, più fedele. Gliela faccio vedere io a quei traditori ingrati. Non la passeranno liscia" Continuava a ripetersi James.
Pensava a come fare in quella fredda nottata. I suoi abiti, umidicci per la nebbiolina di poco prima e per il sudore, erano diventati gelidi per il freddo. Stava tremando, ma non solo per il freddo: la rabbia che ribolliva in lui lo stava rendendo febbricitante. Persino il pugno ricevuto non era niente in confronto alla pugnalata ricevuta dagli stessi. Era affranto, distrutto, si sentiva perso. Non aveva più una banda su cui contare, con cui sfogarsi. Non aveva idea di come crearsene un'altra altrettanto forte come lo era la sua. Ma ora doveva pensare anche alla strigliata di suo padre che, sicuramente ubriaco un'altra volta, lo avrebbe picchiato di nuovo.
Ormai era abituato, in quegli ultimi mesi ormai per un qualsiasi motivo lo picchiava. Il giorno dopo già non si vedeva più niente, i lividi sparivano incredibilmente. Nessuno quindi sapeva niente, e ci teneva che non si sapesse in giro.
Lui non si ribellava, anche se avrebbe potuto, voleva bene a suo padre, non era colpa sua. Era colpa del vizio del bere a renderlo così. Prima era buono sia con lui che con la madre. Non poteva ribellarsi. Doveva stare calmo, come adesso. Doveva solo rilassarsi, pensare ad altro, non pensare più agli ultimi avvenimenti e non avrebbe potuto fargli del male. Era difficile, ma ormai era diventato bravo in questo. Riusciva a controllare i propri sentimenti. Adesso era riuscito a relegare l'ultimo avvenimento in un posto appartato della mente, non ci pensava più. Si poteva dire che era sereno in quel momento. Si stava avvicinando a casa, e meno male, perché ora stava gelando non ribollendo più di rabbia.
Era alla porta, rassegnato a ricevere bastonate da suo padre. Già lo sentiva urlare qualcosa di incomprensibile. Si capiva dalla voce che era ubriaco fradicio.
Aprì la porta e avanzò come per andare al patibolo. Chiuse la porta. Si sentiva strano dentro casa. Qualcosa nell'aria forse, non se lo sapeva spiegare.
Nel frattempo i genitori lo avevano notato.
"Perché coscì tardi?!" Il padre era proprio ubriaco, a mala pena si teneva in piedi, il suo alito puzzava di alcool: lo sentì anche a qualche metro di distanza, ma forse non era solo l'alito.
 "E tu perché così ubriaco?" Lo disse senza volerlo, ma in un impeto di rabbia gli uscì, non era colpa sua. Non se lo spiegava, la sua bocca aveva parlato senza comando, d'istinto. Il padre già rosso in viso si colorò ancor di più, e un po traballante si avvicinò al figlio. James si vide la mano del padre molto vicina, ma non la temeva più come la altre volte. Quelle mani enormi, ruvide e quelle braccia muscolose, tipiche del fabbro, non lo spaventavano più. E anche questo non se lo spiegava.
La rabbia era tornata a impossessarsi di lui, stavolta non solo della voce, anche del corpo. Si ribellò. Parò il primo colpo, con stupore e dolore del padre, e contrattaccò menando un gancio al fianco destro e subito dopo un montante seguito da un colpo in faccia che stordì definitivamente il padre.
Si accasciò a terra con un rumore sordo. La lotta era durata molto poco.
Il padre non aveva sentito poi tanto dolore: l'alcool aveva attutito tutto.
La madre se ne era appena accorta, quando infine capì che era successo lanciò un urlo e corse dal marito.
"Ma che hai fatto!?" In realtà secondo James non era molto in pensiero per il marito, ma per lui, non si era mai comportato così davanti alla madre, doveva averla spaventata. Scappò di sopra: in camera sua. Si faceva paura. Come aveva potuto? Si era sempre controllato alla perfezione. Ora invece ribolliva ancora di rabbia, si era impossessato di lui.
"Non dovresti aver paura dei tuoi poteri, delle tue capacità. In fondo se lo è meritato quell'ubriacone buono a nulla" La voce sembrava provenire dai suoi pensieri.
"Chi sei? Non ti permettere di parlare così di mio padre! Dove sei?" Aveva paura, quella voce sibilante gli penetrava la mente, si sentiva di nuovo strano, era pieno di odio. Gli rimbombava nella testa "Non mi vedi?"
"Dove sei?!" Chiese ancora.
Risata. Si stava guardando intorno. Non c'erano posti in cui una persona potesse nascondersi. Ma era tutto buio, le ombre potevano giocargli brutti scherzi. Accese un'altra candela.
"Non ti servirà, non puoi vedermi; non così...arrivo"
Dalla parete più oscura uscì un essere orripilante. Era nero come la pece, i suoi occhi d'argento incutevano terrore più degli artigli che aveva al posto delle mani. La sua bocca senza labbra e piena di denti appuntiti disposti su più file era perennemente aperta in un sogghigno malefico. Il viso era allungato. Due fori proprio sotto la fronte e in mezzo agli occhi erano il suo naso. Non vedeva le orecchie ma probabilmente erano nascoste sotto i lunghi capelli rosso sangue. Le lunghe gambe sottili terminavano nelle zampe che aveva al poso dei piedi. Sulla schiena aveva delle ali nere ripiegate e dalla spina dorsale spuntavano ossa appuntite. "Vuoi che mi metta un mantello con cappuccio?" Era terrorizzato, se non avesse avuto un appoggio e un muro dietro sarebbe caduto o scappato dal terrore e dal disgusto.
"F-Forse è meglio" Disse tremando in un sibilo James.
Prima un nuvolo nero lo circondò, poi prese forma una tunica e un mantello con cappuccio. Solo il ricordo di quel mostruoso essere lo poteva spaventare, ora non si sarebbe mai potuto dire cosa c'era sotto. Lo si sarebbe potuto scambiare per un uomo. La paura era un po diminuita, pensava che fosse un sogno, e forse lo era.
"No, non è un sogno" La paura è tornata.
"Chi sei? Cosa vuoi?" Riuscì a chiedere.
"Voglio te, ma non voglio farti del male"
"P-Perché non mi dici chi sei?" Ancora faticava aparlare.
"E' una lunga e triste storia, anche un po complicata da capire"
"Perché vuoi me?"
"Questo è semplice: voglio il tuo potere. Tu non t'immagini neanche il potere che hai, o che meglio hai acquisito, grazie al Professore"
"Che potere? E chi è il Professore?"
"Sì, il Vecchio. Forse neanche lui si rende conto di cosa ha fatto. Vi ha dato un potere immenso, basta solo che lo scateni e..."
"Aspetta, hai detto VI a dato"
"Sì, a te e ai tuoi amici, anche a loro ne ha dato"
"NO! Loro non sono più miei amici" La rabbia lo pervase ancora e qualcosa lo stava sopraffacendo dall'interno. Qualcuno si stava intromettendo nella sua mente.
"Sì, lo so. L'ho sempre saputo. La rabbia ti rende debole" Gli era entrato nella testa. Non capiva più niente, la testa gli esplodeva, cercava di combattere, ma non ci riusciva.
Dolore, rabbia, frustrazione, vendetta. Tutto era rosso, tutto era nero...

Nulla è come appare (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora