Oltre lo schermo

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Capitolo 01

Nervoso, è tutto ciò che sento e posso dire con estrema sicurezza che tutto in questo momento mi rende tale. La strada che oggi sembra quasi infinita, la signora anziana che proprio ora ha deciso di attraversare la strada, in accordo sicuramente con il semaforo che guardo con sospetto. Sì, sono certo che centra anche lui in questa assurda cospirazione cosmica, che ha deciso di "rovinare la giornata a Stiles" e solo perché non c'era nient'altro di interessante da fare; questo però non risparmia la tenera e linda signora dalla mia occhiata peggiore, tentato quasi di scendere e farle fare quegli ultimi metri che servono per finire di attraversare. Mi lascio andare ad un lamento e batto la testa contro il volante, due volte, perché una non basta. E continuo per altre due, finché il colpo di un clacson alle mie spalle non mi fa fare un salto e accorgere che non solo la signora è andata, ma è verde e ho una fila di macchine dietro che aspetta. Accidenti!

Grazie tante, eh! A chiunque sia ai vertici della cospirazione.

Per fortuna o semplice tregua, a seconda dei punti di vista, non trovo nessun altro ostacolo per strada e arrivo finalmente alla meta. Parcheggio davanti ad un alto edificio nella zona industriale che guardo teso e inquieto, non è la mia prima volta qui, eppure non riesco ad evitare di trattenere il respiro ancora una volta mentre scendo con lo zaino in spalla. Mi guardo distrattamente intorno, non che mi aspetti di vedere qualcuno che conoscono, ma non si può mai sapere e ho imparato ormai a non fidarmi di questa città; affretto perciò il passo e attraverso il portone principale, scartando l'idea del montacarichi, è troppo lento e sono certo che si bloccherebbe per dispetto. Con la fortuna che ho oggi, ne sono praticamente certo.

Quando arrivo al piano giusto mi fermo qualche secondo, o minuto per riprendere fiato e guardare l'enorme porta in metallo davanti a me, a cui mi avvicino e il cuore accelera di due battiti ad ogni passo. Sono passate tre settimane ormai ...e ancora mi fa questo effetto.

Lascio scorrere la mano sulla superficie di metallo, che scosto abbastanza da lasciarmi entrare per richiuderla poi alle mie spalle, venendo così avvolto dalle ombre che dominano in tutto il loft; ad eccezione di qualche raggio di sole, ormai morente, che traspare dall'ampia vetrata e mette in risalto lui. Che rimane in controluce e oscuro ai miei occhi, ma non sconosciuto. «Sei in ritardo» sentenzia freddo.

«Sì, è vero! Ma sono rimasto incastrato, oggi c'era allenamento anche se ero sicuro che fosse per domani, ma non sapevo che domani fosse oggi. So che può non avere un senso, ma ce l'ha credimi» rispondo, avvicinandomi cauto. Mi fermo al centro della stanza, a pochi passi da lui che se ne sta con ancora le braccia incrociate al petto e uno sguardo passivo-aggressivo da bravo Alpha quale è. «Lo so, vuoi aprirmi la gola con i denti. Giusto?»

«Cominciamo a intenderci» sibila staccando quei dannati fianchi dal tavolo, per avvicinarsi e mi rendo conto di quanto sia difficile, guardarlo senza stare male. È come un pugno nello stomaco, che non riesco a controllare o scacciare e mi toglie il fiato, ogni volta che mi guarda. Come ora. «Cosa devo fare con te?» mi chiede ad un solo passo dal toccarmi e non so davvero cosa fare, se andargli incontro o indietreggiare. Da lui. Da un noi, che ancora non ha forma.

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