Il tempo guarisce?

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Ero seduto in quella stanza da ore. Aspettavo l'esito degli ultimi esami e aspettavo che la mia nuova oncologa venisse a farmi visita. Finalmente al tramonto eccoli arrivare, un'infermiera con in mano una busta e una dottoressa. Si avvicinò a me e garbatamente mi porse la mano.

<<Sono la dottoressa Giordani, lei deve essere il signor Rittozzi>> annuii <<Prego mi segua nel mio ufficio>>.

Quel nome, quella donna, quegli occhi. C'era qualcosa di strano in lei, era come se in qualche modo la conoscessi, il nome mi era familiare e i suoi occhi mi suscitavano delle emozioni inconsuete. Non riuscivo nemmeno a distinguerle, tanto erano strane, erano sensazioni di stupore, di ansia e di paure, "che strani effetti ti da un cancro al cervello" pensai.

Era bassina, forse neanche 1,60 m, occhi color miele, leggermente nascosti dalla sua montatura nera, e capelli castani scuri e ricci. Entrai nel suo ufficio, entrambi ci eravamo seduti, con voce roca cercai di rompere il silenzio.

<<Dottoressa, io stavo aspettando mia moglie, dovrebbe essere qui a momenti>>.

Lei iniziò a guardare le mie analisi e tutti gli esami che avevo fatto in questo anno di torture.

<<Vorrei aspettare lei per sapere la situazione>>.

Mi guardò da sopra la montatura, alzando solo lo sguardo.

<<Se la fa stare meglio certo, ma io fra una mezz'ora ho un altro consulto>>.

Mia moglie entrò.

<<Dottoressa, le presento mia moglie Giusy>>.

La dottoressa si alzò dandole la mano.

<<Sono la dottoressa Giordani, si accomodi prego>>.

Mia moglie stanca e pallida si accomodò al mio fianco. Eravamo esausti ormai, la nostra vita era diventata un inferno da quando avevo scoperto la mia situazione. La dottoressa iniziò a parlare di una nuova terapia che avrei potuto intraprendere. Mia moglie nel bel mezzo della discussione esclamò <<Alessia! Certo! Lei è Alessia Giordani, vero?>>.

Quel nome, Alessia Giordani, ecco cosa mi turbava. Alessia fece un cenno con la testa.

<<Ti ricordi di me? Sono Giusy Testa, eravamo in classe insieme alle scuole medie e mio marito è Matteo. Lo ricordi?>>

Le parole di mia moglie furono un trauma per me, non so se Alessia vide la mia espressione quasi sconcertata. Lei ci sorrise.

<<Certo, mi ricordo, ma concentriamoci sulle cose serie>>.

Forse Giusy non ricordava la crudeltà con la quale la trattava a scuola, forse non ricordava gli episodi in cui lasciavamo Alessia chiusa nei bagni o la chiamavamo"cicciona". Forse aveva rimosso dalla mente quel giorno, quel maledetto giorno, che aiutai gli altri a tagliarle i capelli mentre si era appisolata durante l'ora di italiano. Eravamo un gruppetto di bulli e all'epoca facevo ciò che tutti facevano, seguivo la massa; certo non era una giustificazione valida, ma non avevo mai trovato una risposta che potesse giustificare il mio comportamento. Sempre che ci fosse una giustificazione. Il ricordo di quel giorno riaffiorò vivido nella mia mente.

Avevamo finito la lezione di ginnastica e per colpa di uno strappo muscolare ramasi in infermeria, uscendo, sentii singhiozzare. Mi avvicinai al sottoscala, appena dietro la porta della palestra, da dove proveniva il suono ed eccola lì. Occhi rossi e pieni di lacrime, naso rosso e capelli arruffati. Era seduta a terra, con un braccio poggiato sul ginocchio, mentre si guardava la mano aperta di fronte a lei e con l'altra impugnava un coltellino. In quell'istante il mio cuore sprofondò in un abisso e il senso di colpa mi invase fin dentro le ossa. Odiai quell'immagine, odiai ciò che le avevo fatto. Non ero stato l'unico a farle del male, ma mi sentivo come se quella situazione l'avessi provocata solo io. Si avvicinò il coltellino al polso.

<<Non farlo>>

Gli sussurrai istintivamente. Lei mi guardò e tirando su con il naso provò a parlare tra un singhiozzo e l'altro.

<<Ci provo da un po' ormai, ma non riesco a trovare mai il coraggio di andare fino in fondo>>.

I suoi occhi erano spenti.

<<Ce ne vuole parecchio di coraggio, ma per favore non farlo>>, la mia voce era carica di tensione .

<<E perché non dovrei? Così domani potrete tagliarmi anche i vestiti?>> non era arrabbiata, aveva un tono di voce rassegnato. Cosa le avevamo fatto? Come avevamo potuto ridurla in quello stato? In quell'istante ricordai la prima volta che le parlai, avevo bisogno di una penna e lei sorridendo me la porse, i primi giorni di scuola cercava di integrarsi, sorrideva sempre a tutti, anche quando iniziarono i primi insulti continuava ad essere gentile con tutti, ma passando le settimane e continuando a vessarla l'avevamo ridotta ad uno zombie. Non reagiva più. Non so cosa mi spinse a farlo, ma decisi di sedermi al suo fianco.

<<Sai cosa mi dice mio padre? Che nella vita lui ha sofferto e che io sono fortunato per ciò che mi è stato dato. Lui ha iniziato a lavorare a undici anni e veniva pure picchiato se non faceva ciò che gli ordinavano, ma ha sempre resistito per poter avere un futuro migliore e per poterlo dare a me. Spesso mi ripete che sono un ingrato>>.

Una risata amara mi scappò. Feci una breve pausa e lei asciugò il suo volto.

<<Dovresti lottare per rendere il tuo futuro migliore, anche se gli altri vogliono solo vederti a terra sanguinante>>.

Mi alzai senza dire altro e la lasciai lì. Da quel giorno la lasciai in pace e gli altri vedendo la mia esitazione evitarono di andarci pesante, ma da allora il senso di colpa non mi aveva mai più abbandonato. Ogni volta che la incontravo nei corridoi, ogni ora trascorsa con lei in classe, ogni pomeriggio che ripensavo ai suoi occhi pieni di lacrime.

Ritornai con la mente al presente, ma quel ricordo impresse una lacrima sul mio volto.

<<Matteo, ancora non le ho detto nulla, non faccia così! L'aiuterò a superare questo momento, con questa nuova terapia ridurremo il tumore e potremmo operarla>>.

Persino adesso era gentile, persino dopo che si era ricordata che razza di mostri aveva davanti.

<<Certo sarà dura, ma sono sicura che lei non si lascerà abbattere>>.

A quelle parole le lacrime aumentarono, provavo ancora un gran dolore nel ricordarla in quello stato. Si alzò e facendo il giro della scrivania si avvicinò. Mise la mano sulla mia spalla.

<<Un giorno di tanti anni fa un ragazzo mi disse che dovevo lottare per avere un futuro migliore e per darlo ai miei figli, oggi lo ripeto a lei: deve lottare anche se fa male>>.

La guardai negli occhi, ricordava il mio discorso? Mi sorrise e fu proprio in quel preciso momento che rividi quella ragazza che, il primo giorno di scuola, mi aveva sorriso prestandomi una penna. Istintivamente l'abbracciai.

Spesso si dice che il tempo guarisca tutte le ferite, chissà se le ferite di Alessia erano guarite o se ancora le bruciavano dentro, una cosa però la sapevo: il tempo non guarisce i sensi di colpa, quelli, alla prima occasione, tornano alla ribalta e ti tormentano in eterno.

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One shot scritta per un concorso, i primi tempi che approdai su wattpad. Fatemi sapere cosa ne pensate.

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Piccoli Racconti (Storie Brevi)Where stories live. Discover now