Elise, mia figlia

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Elise non ha mai parlato molto, ma mia moglie la adorava: la vestiva come una principessa, la portava in giro sul passeggino anche se era già grandicella e stava con lei per ore e ore in giardino, controllandola con la coda dell'occhio mentre dipingeva. Madre e figlia assieme, deliziose.
Ogni tanto la sua voce acuta rompeva il silenzio "Mamma, giochiamo?". Non mi ha mai chiamato papà, mia moglie diceva che era perché sapeva che non le volevo bene. Io sapevo il perché ma non avevo cuore di ammetterlo.
E io? Io amavo mia moglie, questo è certo... ma Elise?
Non lo so: da una parte, rendeva felice l'amore della mia vita, e questo per me era molto importante, ma dall'altra l'aveva distrutta, fisicamente e psicologicamente. Non le faceva bene, le sue nevrosi erano già gravi senza la bambina, ora non passava giorno che non scoppiasse a piangere, per un motivo o per l'altro, stracciando i suoi quadri e ferendosi con le unghie.
Non poteva fare a meno di Elise, mangiava, dormiva e viveva con lei, esisteva per lei. E non più per me.
Gli occhi azzurri di Elise sembravano guardarmi con scherno, come consapevoli, mentre mia moglie la stringeva a sé e baciava la sua pelle perfetta. Erano mesi che non baciava me, diceva che la infastidiva la barba.

Mia moglie era un fantasma, fragile come vetro, occhiaie e rughe avevano sostituito i suoi sorrisi. Nel suo volto restava solo un'ombra della donna che mi amava prima dell'arrivo di Elise.

Non era neanche figlia nostra, era stata presa sotto l'ala della mia adorata, adottata da lei e mai da me. Non la volevo, non l'avevo mai voluta, ma pensavo che almeno l'avrebbe resa felice dove io non riuscivo, un raggio di sole tra le ombre della sua depressione.
E invece Elise era stata come un picchio, che beccava e beccava lo specchio incrinato che era la mente di mia moglie, facendo dipanare mille crepe sottili come ragnatele.
E poi, un giorno, si era rotta.

Trovai la casa silenziosa, di ritorno da lavoro, buia e fredda, tranne per uno spicchio di luce che filtrava sotto la porta del bagno.

Immaginavo cosa mi aspettava, ma non ero comunque pronto: mia moglie era sul pavimento, stringeva forte Elise tra le braccia e piangeva, tremando, fradicia. Fiumi di sangue.
Il sangue su di lei era davvero tanto, sulle piastrelle, nella vasca e sul coltello.
-Amore! Cosa...?
-È il suo sangue? Il suo sangue... dimmi che non l'ho fatto, dimmi che non è il suo sangue! Non è il suo sangue!
-Non è il suo sangue! È il tuo!
Le strinsi la mano, cercando di tamponare il suo polso squarciato, mentre l'ambulanza arrivava, Elise muta in un angolo, intonsa.

Rimase muta in ospedale.

Rimase muta al funerale di mia moglie.
Mi guardò, muta, mentre appendevo la giacca nera, seduta su una sedia e la presi in braccio.
Sentii qualcosa sulla sua schiena e tirai.
-Papà, giochiamo?

La Dama HorrorWhere stories live. Discover now