Guardami..

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Eccola lì, la vedi quella ragazza? Sta lì seduta su quella panchina. È in compagnia di una sua grande amica. Sorride, nonostante tutto ha ancora la forza di sorridere. Quella ragazza dal sorriso luminoso si chiama Heidi. Quella ragazza dal 'sorriso luminoso', sono io.
Ricordo perfettamente quel giorno, stavo lì seduta su di una panchina qualsiasi in un parchetto della zona in cui vivo. È proprio carino quel parchetto, se non fosse che è solitario, i bambini non ci vanno mai a giocare, quindi solitamente ci vado io per pensare.
Ero in compagnia di Grazia, una mia compagna di liceo, nonché una delle mie migliori amiche. Stavamo parlando del più e del meno e come al solito le nostre idee erano parecchio contrastanti tra loro. Del resto siamo due ragazze diversissime. Lei è la classica ragazza figa, di bell'aspetto, intelligente e carismatica. Io sono invece la classica ragazza sportiva, solare, intelligente e testarda. Spesso io e Grazia ci siamo ritrovate ad aprire letteralmente dibattiti anche su questioni che magari non ci riguardavano personalmente, per il semplice gusto di riflettere sulle varie sfaccettature della vita e sulle sue soluzioni.
Proprio quel giorno, infatti, stavamo attraversando puntualmente un'altro dibattito, quando improvvisamente mi arriva un messaggio che illumina lo schermo del mio cellulare e mi distoglie da tutto il resto. Era Ann, l'altra mia migliore amica. Mi informava che gli era giunta voce sul fatto che il ragazzo per il quale avevo perso la 'luce della ragione', Rufus, aveva avuto un brutto incidente ed ora era in ospedale. La mia faccia era sconvolta, Grazia non riusciva a capire cosa fosse successo, ma guardandomi aveva intuito che non era nulla di buono. Era pomeriggio ed io sarei dovuta andare ad allenarmi, nella palestra dove praticavo arti marziali sin da bambina, e ci sarebbe dovuto essere anche lui, come ogni settimana. Ma lui ora era in ospedale. Le cause mi erano ancora oscure, ma non potevo chiedere ancora informazioni tramite messaggi; non c'era tempo da perdere, dovevo correre da lui e accertarmi sulle sue condizioni. Era l'unica cosa importante in quel momento, i miei dibattiti con Grazia potevano anche aspettare, ora era lui la vera priorità. Mi trascinai Grazia con me, senza darle spiegazioni; prendemmo il mio motorino e ci conducemmo verso l'ospedale. Appena arrivammo lo vidi, lì steso sul lettino dell'ospedale. Il numero della stanza era il 257. Vi entrai, mi sedetti accanto al suo letto, lo guardai nuovamente ed inizia a piangere. Le mie lacrime e i miei lamenti fecero si che lui si accorgesse della mia presenza. Aprì gli occhi, mi guardò fisso per un po' di tempo, dopodiché mi disse, con voce tremante: "Ciao, Heidi..."

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