1

3K 149 11
                                    

Il dondolìo del carro gli stava facendo venire la nausea. Mentre le fitte alla tempia non accennavano a passare. Allungò una mano al di fuori delle sbarre metalliche. L'aria ghiacciata avvolse l'arto pallido. Le dita iniziavano ad intorpidirsi. Sorrise malinconico. Forse morire di freddo non era una fine così tremenda. Era come addormentarsi lentamente, per poi non svegliarsi più. Molte persone soffrivano davvero tanto, poi morivano miseramente. Come sua madre. Quando quegli uomini avevano fatto irruzione in casa loro, aveva fatto di tutto per proteggerlo. Ma fu tutto vano. Lui si era nascosto nell'armadio, nella sua camera da letto. Una volta che i rumori cessarono uscì, e di sua madre era rimasta solo una pozza di sangue. Il suo corpo non fu più ritrovato. Non sapeva perché quegli uomini fossero venuti proprio da loro, ma situazioni simili non erano rare nei sobborghi della città. Gli Omega venivano attaccati e nessuno faceva niente a riguardo.

Per questo lui era lì. Era minorenne, in buone condizioni e orfano. Quelli come lui finivano nelle case dei ricchi. Nessuno sa la mansione da svolgere, ma nessuno fa più ritorno.

Fece una nuvoletta col fiato. Non sapeva dove fosse. Il mondo era offuscato. I suoi problemi di vista stavano peggiorando. Ormai ci aveva fatto l'abitudine. Per orientarsi si affidava al tatto e all'udito. Ritrasse la mano, strofinandola sugli occhi. Una volta che l'avessero scoperto, sarebbe stata la sua fine.

Fece vagare lo sguardo tra i ragazzi che come lui si trovavano su quel freddo carro. Silenzio. Sguardi bassi. Rassegnati a ciò che il destino gli imporrà spietatamente.

Il carro si fermò. Strizzò gli occhi, sforzandosi di mettere a fuoco il luogo che riusciva ad intravedere dalle sbarre. Un alto cancello. Si aprì cigolando sui cardini. Il carro riprese a muoversi, per poi arrestarsi in quello che sembrava un cortile posteriore. Non che lui se ne intendesse di cortili, ma sicuramente non era la facciata della casa di una ricca famiglia.

Rumori metallici. La serratura scattò. La porta fu aperta bruscamente.

-Siamo già in ritardo, forza muovetevi, animali.

Animali. Quell'ultima parola gli fece venire un conato di vomito. Sua madre lo aveva cresciuto insegnandogli cosa era giusto e sbagliato. E sicuramente quel termine era totalmente inappropriato, ma preferì restare zitto, dato che quando precedentemente aveva parlato senza essere interpellato, gli era stato dato un forte colpo alla testa.

Rumore di catene. Una decina di ragazzini scesero da quel carro. Alle caviglie pesanti catene, come se avessero potuto pensare di scappare. Si stringevano negli abiti troppo leggeri per quel pomeriggio invernale.

Un uomo elegantemente vestito si parò di fronte  a loro. Col solo sguardo gli fece immobilizzare sul posto. Iniziò ad ispezionarli uno ad uno, annotandosi appunti su un quaderno rilegato in pelle.

-Nome.

-Yuuri Kats...

Gli fece schioccare un frustino davanti al naso.

-Ti ho chiesto il nome. Del cognome non te ne farai più niente.

-M-mi scusi.

Balbettò Yuuri non distogliendo lo sguardo dal guanto bianco che stringeva il cuoio del frustino.

-Età.

-Diciassette anni.

L'uomo alzò un sopracciglio. Valutando la situazione. Valutando lui.

-Apri la bocca, tira fuori la lingua. Alza le braccia. Respira. Ok finito.

Annotò ancora qualcosa sul suo quaderno. Diede a Yuuri un braccialetto azzurro. "Ω4" era stampato in caratteri neri.

You don't own me [YOI]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora