In poche parole 002 Stanotte è esplosa una bomba

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Un lampo innaturale ha squarciato nelle prime ore del mattino il cielo della città di Bologna. Le strade del centro storico sono state bloccate dall'alba per facilitare l'andirivieni di ambulanze e soccorsi. Arrivano le prime notizie. È esplosa una bomba. Il passaparola genera soltanto confusione. C'è chi dice che lo scoppio si sia avvertito in via D'Azeglio, chi in via Matteotti. Intorno alle dieci viene diramato un comunicato delle forze dell'ordine con notizie più precise. Un ordigno è stato ritrovato all'interno di un cassonetto in via Paglietta. Due palazzi sono stati sventrati, sette morti, decine i feriti anche nelle abitazioni vicine, danneggiate dall'esplosione. Non vi sono indizi consistenti sulla natura dell'attentato.

Non so se vi siate mai ritrovati in una situazione del genere.

Osservate le cose intorno a voi e tutto vi sembra così maledettamente surreale.

Erano passati due giorni dall'attentato. Ci avevano dato una nuova casa, una sistemazione scomoda, provvisoria, nel dubbio che quella in cui stavamo prima potesse aver subito "danni strutturali", o qualcosa del genere. Io sinceramente non è che ci credessi tanto. Sì, le finestre erano esplose e c'era un gran casino a terra di vetri rotti e detriti che erano entrati da fuori. Ma alla fine non è che stessimo proprio dentro l'esplosione. Ci saranno stati almeno un paio di isolati di distanza. Certo, fossimo passati dall'altra parte della strada, quella sera, non ce la saremmo passata così bene.

Sul tavolino che avevo iniziato a usare temporaneamente come scrittoio c'erano il ritaglio degli articoli dei giornali di quel giorno, il mio libro di poesie e un cellulare che non aveva mai smesso di squillare. La prima a farsi sentire era stata una mia amica lontana, del posto da cui venivo. Subito dopo mia madre, col cuore in pezzi. Poi una tizia di qui, una a cui credevo non importasse davvero niente di come stessi, ma che aveva la mania di stare sempre sul pezzo.

Mi aveva chiesto se fosse tutto a posto con quel senso di noia misto a pettegolezzo di chi si informa del divorzio tra Brad e Angelina o del risultato dei playoff del torneo di Serie B.

In facoltà poi era stato tutto un "come stai?", "che ti è successo?", "ma davvero eri lì anche tu?" Quest'ultima domanda era la più strana di tutte. Te la ponevano con un tono incerto, quasi di invidia. Quasi avessero voluto essere loro lì al tuo posto. Praticamente illesi, con qualche graffio sulle gambe, circondati da persone perché avevano visto in faccia la Storia.

Io non ricordo di aver visto in faccia nessuna Storia. La morte, quella sì. Ma una morte lontana, da osservatore. E quello che ho capito, in tutta quella storia, è che anche la faccia della morte, la si può dimenticare.

Un paio di settimane di parenti piangenti, di curiosi che cercano di allungare gli occhi su quella via da cui ogni tanto si estraggono cadaveri, un argomento nuovo sulla bocca di tutti. Ma le lacrime finiscono, i curiosi hanno tante cose da vedere e le parole nella bocca della gente durano sempre assai poco.

In facoltà quel giorno non si parlava d'altro. La tipa carina che non mi si era mai filato, non mi staccava gli occhi di dosso e non mi lasciava da solo un momento. Avrò bevuto ventisei caffè, quel giorno. Si faceva a gara, per offrirmene.

Ma la verità è che poi tornavano tutti a casa loro, preparavano la cena, chiacchieravano, controllavano il pc e andavano a dormire. Io leggevo le mie poesie e la tipa carina chissà con chi sarebbe andata a letto. I parenti delle vittime continuavano a piangere. Tornavano le notti tranquille e i giorni frenetici e alla fine neanche i parenti piangevano qui.

Qualcuno, magari in silenzio, si tiene dentro un lutto incolmabile. Qualcuno è in ansia per l'ultimo appello o per il primo appuntamento o la prima scopata. E si va tutti avanti. Perché la verità è che non gliene frega niente a nessuno, della morte.

Fiabe StorteWhere stories live. Discover now