Casa.

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L'attesa del piacere è essa stessa il piacere. Diceva quello scrittore tedesco di cui non ricordo il nome. Mi sarebbe piaciuto avere una sua opinione anche sulla gestione dell'ansia, nel frattempo.

Perché è quello il problema. L'ansia. Più sei coinvolto e più ansia hai. Non sono mai stato bravo con la matematica ma il concetto di "direttamente proporzionale" l'ho sempre capito bene.

Sono passati undici giorni dall'ultima volta che l'ho visto. Dall'ultima volta che mi ha acceso per poi lasciarmi bruciare da solo. Undici giorni dal messaggio che gli ho inviato. Undici giorni e nessuna sua risposta. Non capirò mai questo ragazzo. Non capirò mai i suoi atteggiamenti. Le sue mosse.

Non mi vuole ma al tempo stesso non vuole lasciarmi andare via. Tipico degli egoisti. Tipico degli illusi cercare di starli dietro. Tipico mio.

Lo ammetto, a volte, è capitato anche a me. Fissarmi con qualcuno. Non perché ci tenessi. Non perché fossi coinvolto ma per una semplice e stupida sfida. Non mi vuoi allora ti faccio vedere. Ti faccio cambiare idea e poi ti mollo lì sul più bello. Ma era un semplice gioco di attrazione. Non c'era in ballo nient'altro. Si esauriva nel giro di una o due serate. Poi ognuno per la propria strada. Nessuna vittima, nessun carnefice.

In questo caso è tutto diverso. Il sesso non c'entra. Va oltre. Io sono andato oltre. Claudio lo sa bene. Eppure continua. Continua a esserci pur non essendoci. Continua a cercarmi nonostante non voglia trovarmi. Continuo anche io. Continuo a fare il suo gioco. Continuo a non spezzare quel filo. Continuo da tre mesi. È da folli lo so. Ma qualcosa mi dice che sarebbe ancora più folle smettere perché quando un'anima si sente, improvvisamente così viva deve esserci una buona ragione. Deve essere così.

Dopo averle raccontato tutto Dafne mi ha detto di non capirci più niente e che sembriamo due deficienti bravi a fare solo il tira e molla. Come fa a vedere che non dipende da me. Che sono disposto ad essere una puttana solo per averlo. Una volta. Rido istericamente, quando ci ripenso. Io che non ho mai dovuto chiedere niente. Io che non ho mai amato. Io che non ho mai dovuto inseguire. Io che ora sono disposto a correre. Solo per una lurida scopata. Io disposto ad uccidere l'amore solo per un po' di amore. Lo ripeto. Questa non è una storia d'amore. È la storia di una follia.

Il telefono vibra. È Luigi che chiede di rivederci. Non ricordo il momento esatto in cui gli ho lasciato il mio numero ma a quanto pare l'ho fatto. Non ho voglia. Non ho voglia di vederlo. Di parlarci. Di niente. Però l'ho portato a casa mia. Cosa che non faccio spesso. È stato molto carino. Molto discreto. Non è lui il problema, lo so bene. Decido così di dedicargli ancora un'oretta del mio tempo. Un caffè, due chiacchiere. Se le merita lui. Gliele devo io. Ci diamo appuntamento in un bar al centro, alle 18, appena io stacco dal lavoro.

Mi rigiro ancora una volta nel letto, prima di decidere di alzarmi. Guardo di nuovo il telefono. Per un attimo smetto di respirare. Oggi non è un giorno qualunque. Oggi è quel giorno. È venerdì 29 luglio. Il giorno in cui è nato una delle persone che mi ha messo in questo mondo. Mio padre. Il 29 come me. È anche il giorno in cui lui, esattamente 10 anni fa, ha scoperto il mio segreto. Ha scoperto chi ero veramente. Ha scoperto semplicemente un altro pezzo di puzzle di suo figlio. E ha deciso di non accettarlo. Per lui quel pezzo di puzzle non doveva esistere. Non era concepibile. Era un pezzo sbagliato. Un pezzo che mandava a puttane tutto il resto.

Mi ricordo ogni minimo particolare di quel giorno. Era il suo cinquantesimo compleanno. Avevamo deciso di organizzargli una festa a sorpresa. La sua famiglia, i suoi fratelli, i suoi amici. Avevo scelto la musica da mettere su per ballare tutti insieme. Lui adora ballare. È una di quelle passioni che ha trasmesso anche a me. Ed io adoravo lui. Era un rapporto speciale il nostro. Due testardi. Due permalosi. Due teste calde ma che si volevano bene davvero. Litigavamo spesso. Non ci parlavamo per giorni, poi bastava guardarci una volta, sfidarci con lo sguardo per scoppiare a ridere come due cretini. Credo di essere sempre stato il suo punto debole. Ha sempre avuto paura che gli altri finissero per farmi del male. E poi è stato lui quello ad aver lasciato la cicatrice più dolorosa. Dentro di me. Dentro il mio cuore che lo amava così profondamente e che ancora oggi fa fatica. Fatica quando si tratta di lui. Io ero andato ad allenarmi, allora giocavo a calcio, e lui aveva deciso di farmi una piccola sorpresa. Fare due tiri al pallone e poi mangiarci uno di quei bei panini che facevano in quel piccolo chioschetto davanti al campo di calcio. Come facevamo quando ero piccolo. Era il suo cinquantesimo compleanno e lui aveva voglia di coccolarmi ancora un po'. Dovevano avergli detto che ero ancora dentro gli spogliatoi. Sempre il solito ritardatario. Ed era così, solo che quel giorno non ero solo.

E se poi succede.Where stories live. Discover now