Capitolo 5 - La partita di rugby

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- Ho voluto riscrivere il capitolo, dal momento che quello iniziale non mi convinceva più. Per chi ha già letto il capitolo: mi dispiace averlo modificato, ma questa scena mancava e non potevo non inserirla nella storia. -



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La partita di rugby

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Non era affatto facile essere felici, era come imbattersi in una battaglia senza fine. Un po' come la classica lotta tra protagonista e antagonista, l'angelo contro il demone. Vivevo nella solitudine. Aleksandr cercava in ogni modo di aiutarmi ad abbattere quelle mura attorno a me, aprendo la mia mente.

Eravamo io e il mio amato walkman spento e senza vita sul sedile dell'auto, diretta verso il piccolo stadio di rugby cittadino. Occhi chiusi, nel mio mondo speciale dove tutto era possibile.  Ogni volta mi creavo una canzone nella testa, cancellando via qualsiasi pensiero positivo e negativo. Un ritmo lento, incalzante, parole belle con un significato ben preciso.

Mi sentivo come un cumulo di macerie. Distrutta, senza uno scopo. Il vivere senza la presenza di qualcuno da amare, correre senza sapere dove andare, avvolta da un manto scuro. Mi nascondevo dietro un dito, per paura di essere odiata. È stupido, lo so.

La gente non mi guardava negli occhi, mi consideravano la donna delle nevi. Avrei voluto mettermi dietro un paio di occhiali, chiari o scuri non avrebbero fatto alcuna differenza, e vedere gli altri sotto un altro filtro. I miei occhi vedevano il contrario di ciò che il mondo proiettava davanti a me, e il sorriso era la parte mancante del mio puzzle. Mi bastava solo un attimo per poterlo finalmente completare. Sarebbe arrivato, prima o poi. Vivevo dentro un muro.

L'unico raggio di luce nel mio buio pesto era Aleksandr. La forza intensa che proveniva dai suoi occhi, ogni volta mi faceva trasalire e chiudere gli occhi. Alcune volte non gli concedevo di guardarmi dentro e smascherare ogni mia bugia e tirarmi fuori dai nascondigli che mi ero creata, da quando avevo messo piede a scuola per la prima volta. C'erano posti in cui lui non era ammesso, e nessuno lo sarebbe mai stato.

Gli ho sempre voluto bene e ci capitava di litigare per qualcosa di stupido o per quello che facevo in casa. Per anni aveva sempre cercato di cercare prove inesistenti di affetto da parte mia, di trovare una soluzione. Aveva sempre cercato di mascherarmi il dolore di non essere amata, di invogliare la delusione, di non sentire il dolore che provavo nel sentire quelle forti parole e di ignorare ciò che dicevo. Lo faceva per me, per rendermi orgogliosa, forte, ragionevole e coraggiosa.

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