Capitolo 19 - Uno sbaglio perfetto.

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Canzoni per il capitolo:
Lego House - Ed Sheeran;
Wherever you will go - The Calling.

«Quindi per questa sera è stabilito?» domandò Trevor in preda all'euforia, strofiando le sue mani l'una con l'altra.

Se c'era una cosa che il mio migliore amico amava erano i racconti dell'orrore.

Non credeva ad una sola parola, ad un solo dettaglio, di tutto quello che sentiva o guardava, al contrario mio e di Sharon.

Infatti, quando eravamo bambini adorava farci spaventare.

Ci davamo appuntamento quasi ogni sera alla casetta sull'albero che si trovava nel giardino di casa Evans che, per inciso, era a qualche metro di distanza dalle nostre e lui si divertiva ad inventare storie spaventose, con tanto di torcia.

Naturalmente questi ricordi al presente mi facevano sorridere, ma da bambine sentirsi dire che il mostro dentro il proprio armadio stesse pianificando di tirarti dai piedi mentre dormi non è proprio il massimo. Ecco.

Margaret, che ormai aveva ricominciato a passare tutto il suo tempo libero con noi, annuì mostrandosi d'accordo.

«Adoro gli horror, il mio preferito è The ring», squittì.

La mia espressione si trasformò in una smorfia e i tutti i ragazzi scoppiarono a ridere guardando prima me, poi la mia migliore amica.

Incrociai le braccia al petto e li guardai interrogativi. «Che avete da ridere?» domandai.

«È incredibile, siete identiche a volte», osservò Brian tra una risata e un'altra, riferendosi al fatto che avessimo, senza farlo di proposito, assunto la stessa espressione facciale.

Sorrisi.

Eravamo abituate a stare insieme ventiquattro ore su ventiquattro da moltissimi anni ormai, era naturale che poi, ad un certo punto, si finisse con il somigliarsi.

«Io propongo ancora di guardare un film comico, almeno ci facciamo quattro risate... no?» ribadì Sharon nervosamente.

E sì, tra le due lei era la più fifona in genere.

«Oh, ma ci faremo quattro risate ugualmente, sentendo te che urli», contrabatté Paul, passandole un braccio attorno le spalle.

Sharon arrossì leggermente, per poi sbuffare sonoramente e, infine, arrendersi definitivamente.

C'era qualcosa tra loro due, si capiva da lontano mille miglia, anche se fin'ora non c'era mai stato nemmeno un bacetto innocuo.

Ed io non capivo: si piacevano sicuramente, allora perché non stare insieme?

Perché risultava a volte, l'amore, così complicato?

Ero sicura che anche noi ci mettessimo del nostro: eravamo noi a complicare le cose con le nostre paure, ansie, emozioni e filmini mentali.

Perché l'amore in sé non poteva essere così.

Doveva essere un qualcosa che rendesse felici, e basta.

Non ero un'esperta, né una vecchia saggia, né una donna vissuta; ero ancora una ragazzina che doveva scoprire molte cose sul mondo, ma mi rifiutai di pensarla come la maggior parte della popolazione.

L'amore era una cosa semplice, ai miei occhi.

Non ero mai stata vittima di questo fenomeno, ma ero sicura che quando mi ci sarei ritrovata nel bel mezzo sarebbe stato fantastico.

«Alle otto va bene per te, Ally?» domandò Alex, mentre tutti gli altri attendevano risposta.

Mi ero distratta, rimanendo intrappolata dentro ai miei pensieri, distaccandomi dal mondo circostante.

STORM HEARTWhere stories live. Discover now