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Mi svegliai con una musichetta nelle orecchie. Probabilmente avevo sognato una melodia recentemente e la ricordavo ancora bene. Sarebbe durato poco, ne ero certa. Succedeva sempre così. Le prime volte mi promettevo di ricordarla e poi me la scordavo miseramente.

Però potevo registrarla!

Ma le mie idee geniali erano costantemente bloccate da qualcosa.

Ovviamente nessuno si era curato di caricare il cellulare.

Tutta colpa dell'influenza.
Guardai la finestra e con angoscia mi resi conto che era pomeriggio inoltrato.
Quanto avevo dormito?
Meglio non sapere.
C'era un particolare profumo nella camera.
Mi inebriava i sensi.
Come quando un oggetto profuma talmente tanto che lo vuoi sentire. E acquisisci il suo odore non una, ma tante volte. Misi in carica il cellulare e ritornai nel letto, sollevando le coperte fino al mento.
Un attimo dopo mio padre entrò nella stanza. Chiusi gli occhi prima che si accorgesse che mi ero svegliata.
Camminò molto lentamente avvicinandosi. Mise la sua mano sulla mia fronte.
Evidentemente voleva accertarsi che non avessi la febbre.
Poi, però con cautela prese il ciondolo della mia collana e lo tastò.
Fece un sospiro di sollievo e uscì chiudendo la porta -molto silenziosamente- che si riaprì leggermente, e senza che lui se ne accorgesse.
Aprii del tutto gli occhi.
Dal piccolo spiraglio donato dal caso vidi mio padre di spalle e un signore.
Sentii dei suoni indistinti e poi, affinando i miei sensi riuscii a sentire delle voci.
"Non ancora" disse mio padre.
"Bene" disse l'uomo misterioso.
"Siamo sicuri? C'è anche un'al-"
Qualcuno interruppe mio padre.
Non ci misi che un secondo a capire la voce di chi era:
Smelda.
 
                                 ...
L'inquietudine non passò neanche quando qualche ora dopo ero alzata e girovagavo per i vasti corridoi. Ero di nuovo di fronte la porta non numerata.
Guardandola sentii il vuoto.
Quel qualcosa che non esiste, ma che contraddistingui per la mancanza di pensieri.

Me ne andai velocemente da lì.
Stranamente non avevo trovato nessuna persona lungo i corridoi.
Tornai in camera e chiamai Sophie. Era lei a tormentarmi di chiamate di solito. Strano.
Mi misi sul balconcino perché non c'era linea. Rispose dopo pochi squilli.

La sua voce era una boccata d'aria fresca.

Le raccontai tutto tralasciando il ragazzo dai capelli rossi.
Giorno dopo giorno mi convincevo che era solo un sogno.
Ed era meglio così.
Mi aggiornò su tutto quello che da lei succedeva.
Si era fidanzata.
E mi aveva assicurato che era una cosa seria.
Perché non mi aveva chiamato e non mi aveva dato lei la notizia?
Era quasi combattuta dal dirmelo e non ne capivo la ragione.
Ero comunque contenta, forse.
Iniziavo a chiedermi se avrebbe avuto lo stesso tempo da dedicarmi. Ero troppo abituata al suo bussare una volta dietro l'altra al campanello e al mio aprire la porta senza chiedere "chi è?". Come se fosse un marchio, un timbro, perché lei e solo lei poteva bussare in quel modo. Ero troppo abituata al suo venire da me quasi ogni giorno, anche senza preavviso.
Ero troppo abituata a lei, ed era questo il problema.
Non lo era mai stato fino ad ora.
Mi ricordò quanto le mancavo e le promisi che appena mi sarei stabilita al meglio le avrei fatto visita e che lei avrebbe potuto far visita a me.
Sapevo che anche senza di me i divertimenti c'erano.
E...mi sentivo male.
In un modo che anche descritto nei minimi dettagli sarebbe rimasto incompreso.
Provare per credere.
Misi una delle mie canzoni preferite e la faccia sul cuscino respirando direttamente dalla lana, cosa che non era favorevole alla mia allergia.
Il mio flusso di pensieri probabilmente cominciò in quel momento, fu la canzone a provocarlo.

Una stanza blu. Sophie che mi chiedeva quale era la mia canzone preferita. La sua espressione quando gli dissi che non l'avevo, e che la prima e unica volta in cui ne avevo avuta una ero una bambina di otto anni. Io che pensavo sarebbe stata per sempre la mia canzone. E poi il cambiamento.

NIGHT BEGINS - Inizia Tutto Di NotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora