BRUTTE NOTIZIE

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Settembre 2013

Dicono che il valore delle cose o delle persone lo si comprenda solo quando esse vengono a mancare. Quell'anno me ne convinsi anche io.

Era una di quelle giornate di fine estate, quando, come gli orsi prima del letargo, si comincia a pensare all'inverno, al cambio di stagione e alla prospettiva di dover aspettare un lunghissimo inverno prima di poter godere nuovamente delle interminabili giornate estive, dei weekend in piscina o sul lago, della pianificazione delle tanto agognate vacanze. In centro, a Milano, nell'ora dell'aperitivo, era un via vai di ragazzi, i locali pullulavano di giovani donne ancora abbronzate e vestite alla moda con le loro borse griffate, i tacchi vertiginosi e la spensieratezza tipica di chi ha chiuso nel cassetto del proprio ufficio ogni incombenza lavorativa.

Avevo convinto Flavio ad accompagnarmi in giro per negozi e, come tutti gli uomini, mi accorsi che anche lui provava una spontanea repulsione nei confronti dello shopping femminile. La mia indecisione nell'acquistare un capo piuttosto che un altro lo mandava in tilt, ciononostante si sforzava di contenere l'irrefrenabile impulso di mandarmi a quel paese e abbandonarmi nei camerini di una delle numerose catene di negozi in cui ero entrata.

Appena vidi Flavio allo stremo delle forze e prossimo a una crisi nervosa, proposi una sosta in uno dei lounge bar a disposizione in Via Monte Napoleone. Ordinammo un aperitivo e poco prima che ci venisse consegnata l'ordinazione al tavolo, mi squillò il telefono. Era mia madre.

«Giù, devo dirti una cosa importante.» Aveva una voce diversa dal solito, meno squillante e molto poco rassicurante. Ma non me ne curai molto, perlomeno non prima che mi spiegasse cos'era accaduto. «Tuo padre è stato ricoverato in ospedale» mi disse.

Sentii il cuore accelerare i battiti e le guance sbiancarsi di colpo, Flavio si accorse subito che qualcosa non andava.

«Ehi, che succede?» mi sussurrò, ma non gli diedi retta, ero troppo concentrata ad ascoltare il resto.

«Ha avuto un malore e ho chiamato l'ambulanza. Gli esami del sangue sono sballati e hanno deciso di trattenerlo per ulteriori indagini» continuò mia madre.

Non saprei spiegare il motivo per il quale mi allarmai in maniera esagerata, e quando raccontai l'accaduto a Flavio, lui cercò in tutti i modi di rassicurarmi, ma non ci riuscì.

Quello che doveva essere un banale pomeriggio nel quale spendere il proprio tempo e i propri soldi in acquisti sfrenati, si trasformò nel giorno che precedeva l'arrivo di brutte notizie.

L'indomani partimmo per Bellagio e quando arrivammo in ospedale, sorpresi mia madre e Alice in un mare di lacrime. Fu in quel momento che compresi quanto la situazione fosse grave. Dopo qualche giorno, arrivò la diagnosi: colangiocarcinoma, un tumore grave delle vie biliari. Non c'era cura, non era operabile e a causa dell'estensione neppure trattabile con le terapie convenzionali. Parlai con l'oncologo, mi disse che non si spiegava come mio padre non avesse mai avuto sintomi prima di allora.

«L'aspettativa di vita è di sei, sette mesi. Mi dispiace.»

Quel responso mi fece crollare. Ricordo che Flavio strinse il mio braccio per non farmi accasciare a terra, perché provai dolore fisico dopo le parole del medico, provai un dolore che mi perforò l'anima e arrivò al cervello.

Mia madre indossò la sua maschera più bella e si sforzò di non perdere il sorriso, mia sorella fece lo stesso mentre io, be', io non ci riuscii. Ero un disastro, una pappamolle, una figlia troppo sensibile per poter sorreggere quella notizia. Tutti da me, dalla dottoressa Giuditta Piras, si aspettavano altro. Si aspettavano che gestissi il dolore e le cattive notizie con più dimestichezza di chiunque altro al mondo, ma quando vedevo il mio papà stanco, con la pelle ingiallita e il sorriso spento di chi sa che sta per morire, io mollavo, mi sedevo accanto a lui e piangevo mentre Alice e mia madre non facevano che rimproverarmi.

Nelle settimane che seguirono ebbi lo straordinario dono dalla vita di conoscere mio padre oltre le regole e la rigidità che l'educazione impone verso una figlia. Scoprii che Adriano Piras, mio padre, provava una grande stima verso di me e che la sua severità nel crescermi era stata necessaria per contenere la mia "esplosione di vitalità" come lui stesso aveva definito il mio essere ribelle e poco incline ai cliché della figlia modello.

Flavio divenne una presenza fissa e insostituibile. Mio padre lo adorava, me ne accorsi dal modo in cui chiacchieravano, dalla tenerezza con la quale Flavio lo aiutava a sedersi sulla sedia a rotelle per una passeggiata all'aria aperta.

Quelli sarebbero stati gli ultimi mesi nei quali avrei potuto godere della presenza di mio padre, e finii per rallegrarmi di ogni singolo istante trascorso con lui, di ogni sabato e ogni domenica, e giurai che avrei continuato così fino all'ultimo dei suoi giorni. 

L'attesaWhere stories live. Discover now