CAPITOLO 53

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             A ME IMPORTA DI TE   

<<M-max?>> Mi avvicino  lentamente e allungo la mano verso di lui, senza mai nemmeno sfiorarlo.

Quando non risponde, non posso fare a meno di poggiare una mano sulla sua spalla in un gesto dettato dall' ipotesi che sia solo un' illusione che si affievolirà presto.

E invece no. Lui è ancora lì.

I corridoi sono bui, l' unica luce esistente proviene dalla lampadina appesa alla catenina del bagno.

Una luce debole, fioca, che mi permette di vedere a malapena la forma dei suoi muscoli e il modo in cui inarca la schiena  come se si stesse piegando  in due dal dolore.

Per una volta sono felice di non poter vedere.

Vorrei solo immeggermi nella più totale oscurità e far finta che sia la mia stanchezza  a giocarmi brutti scherzi.

Vorrei andarmene, lasciandolo solo. Vorrei alzarmi domani mattina e dirgli :<<Hai visto? Non mi sono immischiata nella tua vita>>

Ma non lo faccio.

Mi accovaccio affianco a lui e gli metto i capelli dietro le orecchie, senza mai incontrare i suoi occhi.

Sento l' odore del vomito impossessarsi delle mie narici e mi viene un giramento di testa.

Chiudo gli occhi e cerco di liberare la mente, di concentrarmi sull' oblio, sul niente. Cerco di pensare che sono in camera mia, accanto a zia Denise che mi legge una favola.

Poi, però, zia Denise inizia a vomitare e io vengo catapultata in modo crudele e violento nel presente. Nella mia nuova realtà.

Un gemito.

Come sono finita in questa situazione?

Due gemiti.

Ogni volta che lui mi dice di stargli lontano, succede sempre qualcosa che mi impedisce di ascoltare le sue parole, che ostacola le mie convinzioni, che mi fa capire quanto siamo destinati a ritrovarci insieme. Sempre.

Tre gemiti.

Perché?

Sono forse io a cercarlo senza rendermene conto? Sono davvero così disperata?

Quarto e ultimo gemito. Per ora.

<<Ti ho svegliata?>> Non riesco a vedere l' espressione di Max.

Vedo il suo viso per metà coperto da un ombra e per metà illuminato dalla luce.

Devo trattenermi dal fare una risata amara, constatando che sembra una metafora della sua vita.

Un animo buono e gentile. Un altro freddo e insensibile. Entrambi in lotta tra di loro da anni.

<<Ero già sveglia>> Sussurro alzandomi.

<<Stai meglio?>>

<<Sì>> Non lo guardo. Ma lui guarda me.

Il suo tono è ancora freddo.

Il mio petto fa ancora male a sentirlo.

<<Buonanotte>> Mi mordo il labbro e cammino lentamente, incredula di essere riuscita a uscire da quel bagno come se tutta questa situazione non mi avesse fatto nè caldo nè freddo.

<<Aspetta>> La sua voce è solo un sussurro, eppure mi appare chiara, come se aspettassi di sentirla da un momento all' altro. O forse sperassi.

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