otto - veleno

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stringimi:
lascia che la mancanza di respiro
mi faccia addormentare.
- veleno, settembre 2017


- thanatos...
- mh?
- sei stato tu?

indicai il cancello distrutto, ripiegato su se stesso e accartocciato in un angolo, pezzi di metallo fra l'erba rinsecchita e bruciata.
il tartaro dava già abbastanza senso di abbandono e distruzione senza la sua forza sovrumana.
inclinò la testa da un lato si sfregò una tempia, scompigliando i capelli purpurei, poi scrollò le spalle, totalmente indifferente.

- aprirlo normalmente?
- era chiuso.
- fottere non solo le chiavi della tua gabbia ma anche quelle del cancello?
- ricordami quando ti ho detto di essere intelligente. - replicò ovvio, facendomi ridacchiare.

eravamo finalmente arrivati, dopo giorni di cammino e incidenti di percorso vari. avevamo superato i campi elisi e le dimore - si fa per dire - dei dannati da ore, elios stava già lasciando il cielo a selene e stava calando la sera.
e non avevamo parlato quasi per niente dopo... dopo le nostre dichiarazioni d'amore.
ma io non avevo niente da dire, avevo già speso le mie parole con lui. e per cosa, poi? ora se ne sarebbe andato laggiù e... e sarebbe tornato tutto alla normalità.
perché sarebbe stato così, giusto?
e forse nemmeno lui aveva più parole. cosa avremmo dovuto fare? raccontarci le nostre vite? che cosa terribilmente noiosa!
no, siamo rimasti accanto l'uno all'altro, spalla contro spalla. e qualche volta le nostre dita si toccavano, per errore, ma dopo questo ci era quasi naturale cercarci: intrecciavamo le nostre dita per qualche secondo, ci beavamo del calore e della sensazione di essere annodati a un altro e ci staccavamo, per poi tornare a sfiorarci dopo poco.
era così particolare essere annodato a thanatos: sentivi il suo profumo dolciastro di sangue e di more - evidentemente il pigmento che gli colorava i capelli - inebriarti come se fosse stato vino, aveva le mani leggermente fredde, eppure stringeva il più possibile per trasmetterti calore. la sua stretta era forte, era lì per stringerti, dalla punta dei polpastrelli agli spazi fra le dita.
era bello.
e per quanto fallisse nel riscaldarmi la pelle mi solleticava il cuore con quel pizzicore caldo di cui parlano gli umani quando vengono trafitti dalle mie frecce.
era davvero bello.

- mi piaci quando ridi, eros.
- sì?
- molto. mi piaci davvero tanto.
- anche tu mi piaci, thanatos.
- lo so.
- anche io.
- mi ami, eros?
- sì.
- perché allora mi stai riportando qui? perché non possiamo volare via? io non so farlo, ma tu puoi. insegnami a volare e andiamo via, lasciamo tartaro e olimpo e voliamo via.
- thanatos...
- lo so. non puoi. non vuoi. - biascicò voltando la testa.
- no! - esclamai, afferrandolo per il braccio - io voglio, cazzo, sì che voglio! io vorrei così tanto... ma non possiamo. siamo due dei, abbiamo dei compiti, delle responsabilità, non possiamo abbandonarci e dimenticarci del nostro essere.
- ti amo, eros. - sussurrò sorridendomi e sfiorandomi la guancia.
- ti amo, thanatos.
- non ti dimenticherò.
- lo farai.
- forse. tu mi dimenticherai.
- io... io proverò a non farlo.
- amerai altri dopo di me.
- anche tu.
- cosa posso amare laggiù? - rise, ma la sua voce era incrinata da singhiozzi troppo orgogliosi.
- il mio ricordo.
- come puoi ricordare eros senza amarlo?
- pensami.
- non lo farò. o soffrirò.
- no, allora, amore mio... - gli carezzai una guancia - non pensarmi. non voglio che tu soffra.
- non soffrire, eros. spiega le tue ali e vola, non restare ancorato a questa terra e a questo ade. vola e accarezza i cieli. non pensare a me e alle catene che mi tengono in gabbia. voglio che tu sia libero.
- forse per non soffrire dovremmo separarci qui, ora.
- sì... ti amo, eros.
- ti amo, thanatos.

restai impietrito, con l'erba secca che mi solleticava le caviglie, mentre la sua mano si allontanava dal mio corpo e da me, lo vidi varcare i resti del cancello e una folata di vento ci scompigliò, facendo volare via alcune foglie.
strinsi la cinghia della faretra quando lo vidi arrivare davanti le porte del tartaro e trasformarsi in quel mostro incorporeo e violento che era sotto quello strato coriaceo di pelle: vidi ciò che assomigliava a una mano spingere la pesante porta mentre le sue ali fendevano l'aria, bruciando l'erba che aveva resistito al suo primo passaggio. bastò una piccola spinta e l'antro si aprì, rivelando il buio dell'erebo. tornò piano in forma umana, con ancora la mano appoggiata sulla porta e le spalle ricurve. vidi i suoi capelli e il suo chitone agitarsi violentemente e capii che era arrivato il momento di dirgli addio, i venti del tartaro trascinavano via tutto ciò apparteneva a loro.
voltai il capo e mi morsi il labbro, stringendo ancora più forte la cinghia della faretra fino a infilare le unghie nella carne: non volevo vederlo andare via, non volevo dirgli addio.
come poteva tornare tutto alla normalità?

- EROS!

mi voltai.
avrei fatto meglio a non farlo.
aveva il volto rigato di lacrime e mi sorrideva.
gettai arco e faretra nell'erba e corsi da lui, lo abbracciai e sentire i nostri battiti agitati e confusi fu come venir colpiti da una lancia.
chiuse gli occhi e le sue labbra sfiorarono le mie, ma non ci toccammo: sarebbe stato anche troppo straziante.

- come ho fatto ad innamorarmi di te, eros?
- non ne ho la più pallida idea.
- è stato l'errore più madornale della mia eternità.
- ma ti è piaciuto.
- io vivrei per te. è difficile da dire, come è difficile da fare. ma per te lo farei. comunque.
- oh, thanatos...
- ti amo, eros.
- non mi dimenticare.
- mai.
- pensami.
- sempre.
- soffrirai?
- come te.
- da quando siamo un cliché così osceno e scontato?
- da sempre.
- sì.
- devo... devo andare via.
- mi mancherai.
- vola.
- lo farò per te.
- ti amo, eros.
- ti amo, thanatos.
- avevi paura di pronunciare il mio nome.
- rifiutavi l'amore.
- mi hai cambiato.
- anche tu.
- addio, amore mio.
- prometto di volare.

e ci separammo, con un sorriso, stringendoci un'ultima volta, annodati fino all'ultimo.
lui si voltò e scomparve nel buio, mentre con un tonfo secco le porte si chiusero, lasciandomi solo, circondato da desolazione.
addio.







è stato un fottuto parto.
ma ce l'ho fatta.
non merito un cazzo per l'enorme ritardo.
detto questo, questo è l'ultimo capitolo di rubor in niveo candore.
dopo ci sarà un'ultima poesia e poi i ringraziamenti.
e la nostra avventura finisce qua.
grazie infinite per le mille visualizzazioni, ho amato questo lavoro.
ci vediamo su frank, se vi piacciono le frerard, e restiamo aggiornati per altre storie.
xoxo, mia.

rubor in niveo candore - prequel [✔]Where stories live. Discover now