Capitolo 3

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Sotto il larice piangente

Quando Eimhir aprì gli occhi, la foglia di un giovane larice le cadde sulla punta del naso

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Quando Eimhir aprì gli occhi, la foglia di un giovane larice le cadde sulla punta del naso. Guardò i rami dell'albero: le ultime foglie rimaste, di vivaci tonalità di arancione, sarebbero durate molto poco.

Notò subito di avere le mani e i piedi legati, non riuscendo a muoverli. Non potendole separare, sollevò entrambe le mani per conservare la sottile foglia nella tasca della lunga vestaglia da notte.

Ricordò di aver utilizzato tutta la sua magia contro l'uomo che aveva colpito Eanruig, scagliandogli contro folate di vento non particolarmente forti (purtroppo non si era mai allenata tanto con la magia dell'aria), e probabilmente era svenuta per lo sforzo. Sollevandosi a sedere, lo vide.

Era lì, oltre il gruppo di orfani, in piedi in mezzo agli altri uomini. Indossava un robusto cappotto di cuoio adatto a proteggerlo dai venti invernali: pareva cucito da un professionista, ed Eimhir pensò che dovesse essere molto ricco per potersi permettere un capo del genere. La sua pelle era scura, tipica delle popolazioni del sud, e gli occhi a mandorla e gli zigomi pronunciati non fecero che confermare la sua provenienza: doveva essere un pergreiano. I suoi capelli, che gli coprivano completamente la schiena, erano addirittura più lunghi di quelli della folletta, ed erano rossi come il fuoco. Non sembrava vecchio, ma nemmeno giovane: il suo viso era segnato da qualche ruga, ma non abbastanza; più che altro, si trattava di rughe d'espressione, che gli ricoprivano la fronte. Eimhir capì che doveva essere uno che s'innervosiva spesso, e sorrideva raramente. Forse mai, si corresse la folletta, scettica. Osservandolo meglio, vide che sul suo volto non c'era nemmeno un filo di peluria: era forse più giovane di quel che i suoi occhi malvagi suggerivano?

Eimhir pensò che, vecchio o meno, lo avrebbe ucciso lo stesso. Doveva solo recuperare le forze: insomma, era questione di tempo e avrebbe ottenuto la sua vendetta.

Si guardò intorno. La maggior parte dei suoi fratelli erano con lei, ma molti di loro erano feriti; alcuni piangevano; alcuni non erano in quel gruppo, radunato sotto il giovane larice, ma un po' più lontano, sulla destra, accatastati l'uno sull'altro come cuscini.

Morti.

Eimhir riuscì a stento a contenere il grido che le sorgeva in gola, dal profondo del cuore. Riconobbe Robasdan, Fearchar e Martainn nel cumulo di cadaveri. Non riusciva a scorgere il volto degli altri, ma intravide le pantofole verde fosforescente del piccolo Jengo. Trattenne un singhiozzo, portandosi una mano alla bocca e stringendo gli occhi pur di non vedere. Era troppo. Era troppo da sopportare. Li avrebbe uccisi tutti. Maledetti pergreiani.

Si voltò, cercando Eanruig con lo sguardo e lo trovò ad appena qualche passo da lei. Aveva la testa poggiata sul grembo di Tamika che, nonostante avesse le mani legate, cercava di curarlo meglio che poteva. Non aveva ancora ripreso i sensi. Strisciando, Eimhir si avvicinò.

Gli Altwidus E Il Cipresso EffimeroWhere stories live. Discover now