17th Peccato relativo

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Un mese dopo

Era ormai Aprile inoltrato quando finalmente Lady Jadine si alzò dalla suo letto; il ritratto del quarto mese di gravidanza le era stato fatto mentre riposava con il marito al suo fianco che le teneva una mano sul pancione.
Harry non nascose la gioia di vederla finalmente alzata perché sapeva, in fondo al suo cuore, che quel mese passato senza la vista di Eloise lo aveva quasi ucciso.
Nonostante tutto, il suo cuore apparteneva a lei.

Harry passava metà delle sue giornate a dipingere. Guenda lo guardava stranita dalla porta delle sue stanze dove il suo padroncino conduceva un impegnato lavoro solitario. Lo si vedeva muovere a scatti mescolando terre e polveri sul tavolino al suo fianco, con le maniche a sbuffo della camicia non più bianca che svolazzavano. Sembrava sempre più assorto nei suoi pensieri mentre si dava daffare con la tela segreta. Ora che Jadine era stesa nel suo letto non poteva di certo curiosare nella sua stanza.

Solo Harry sapeva cosa significava per lui poter isolarsi solo con i volti muti dei suoi disegni; cosa faceva? A detta di tutti disegnava e basta; no, lui creava arte. E rifletteva un bel po'.

Silenzioso come una pantera la notte, Harry ripensava al suo bacio con Eloise: baciarla era stato un gesto avventato. Lo aveva già ribadito a sé stesso passando davanti al piccolo crocifisso in camera di Jadine che gli ricordava il suo peccato nei confronti delle promesse matrimoniali.

Ma la religione, il divino Signore che suo moglie venerava con tanto fervore, era per lui un concetto relativo. Da intellettuale che era preferiva affidarsi agli scritti scientifici dell'epoca senza accontentarsi delle scritture sacre. Harry si faceva domande, si poneva quesiti e li provava con ipotesi. Aveva una mente scientifica, eppure aperta.

Quando aveva infranto il sacro vincolo del matrimonio non s'era andato a confessare né aveva fatto ammenda dei suoi peccati, ma non perché considerasse Dio inesistente (non avrebbe mai voluto suonare blasfemo) perché considerava Dio un'entità divina diversa da quella venerata. Non era un eretico, semplicemente pensava a Dio come qualcosa che donava un destino e libero arbitrio per districarsi in esso.

Aveva sbagliato e lo riconosceva a sé stesso, ma senza pentirsene. Dentro di sé, mentre colorava per la millesima volta le labbra rosee di Eloise, riviveva il peccato più dolce della sua vita.

Quando Jadine si svegliò Harry era al suo fianco. Guardava il braccialetto con il rosario della moglie e ripromise al suo Dio di essere più presente per la moglie.

"Ho pregato oggi." Annunciò Harry.
Jadine aggrottò la fronte, aveva avuto un discorso sulla religione con il marito ed era stato un vero disastro, conosceva la sua malsana opinione.

"Ho pregato per il nostro bambino. E per te." Continuò Harry.

"Perché l'avresti fatto?" Chiese dubbiosa Jadine.

"Avevo paura," ammise, "avevo paura che lo avremmo perso a causa mia. È stata tutta colpa mia e so che non mi perdonerete mai, ma vi prego di farlo." Aveva pensato molto, Harry, sul da farsi. Il suo peccato seppur relativo non si poteva cancellare così come il senso di colpa che lo aveva consumato sino a quando non gli avevano detto che il bambino era salvo.

Jadine era rimasta in silenzio con le mani di Harry a sfiorare le sue. Non sapeva che dire di fronte a quella situazione, non le era mai capitato di avere qualcuno in pensiero per lei a causa del suo caratteraccio.

"Abbiamo sbagliato fin dall'inizio Harold." Mormorò. "Io per prima."
Harry la guardò sorpreso. Lo stava ammettendo davvero?

"Ho cominciato questa storia tra noi nel peggiore dei modi e ne sono consapevole. Non avrei mai voluto riscattarti in quei modi ma..." la voce della donna di spezzò. "Ma sentivo dalle domestiche che avevi altre donne. Mi sentivo tagliata fuori da tutto."

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