2. Madison

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«Ti prego non uccidermi.»
Le lacrime mi rigano le guance. La voce mi trema. Anche le mani sporche di sangue tremano. Voglio convincerlo, posso farlo. Posso convincerlo a non uccidermi. Una volta ho letto che se si raccontano fatti personali a una persona armata hai più probabilità che non ti uccida. Devo farlo. Ora. Ma non mi viene in mente niente. Vorrei dirgli che ho due genitori che morirebbero se morissi, ma loro sono appena stati uccisi da lui. Da questo essere che mi sta fissando con occhi da pazzo. Ha ancora in mano la pistola, con il dito sopra il grilletto. Non riesco a respirare, ho troppa paura. Non riesco a parlare. Non riesco a muovermi. Ed ecco che alza il braccio e punta la pistola dritta sulla mia fronte. Adesso sto tremando di più, e singhiozzo.
«N-no no no non devi-non devi farlo. N-n-non devi uccidermi.» perché balbetto! Non posso balbettare, non posso farlo arrabbiare!
«A-ascolta, a-ascoltami. P-p-puoi scappare, and-dartene. Non ti troverà nessuno. Io-io non lo dirò a nessuno, p-puoi s-scappare scappa s-scappa vai» Non riesco a smettere di balbettare, balbetto e lui si arrabbia. Sono sicura che lo sto facendo arrabbiare. Non voglio farlo arrabbiare. E non riesco a smettere di piangere. Piango e singhiozzo.
«BASTA BASTA STAI ZITTA DEVI STARE ZITTA.» mi urla contro lui, e io inizio a tremare ancora più forte, mentre dico «Ok ok ok, ok sto-sto zitta» prima urlando, poi con un filo di voce.
«ADESSO BASTA LA FACCIO FINITA CON TUTTI QUANTI, CON QUESTA FAMIGLIA DI MERDA CHE NON SIETE ALTRO. NON MERITATE DI VIVERE. DOVETE MORIRE TUTTI.» mentre urla come se avesse perso il controllo di sé continua a tenere puntata la pistola verso di me. Io ho smesso di tremare. È come se non respirassi neanche più. È come se il tempo stesse andando a rallentatore. Lui si mette in posizione, pronto a sparami dritto in fronte. Chiudo gli occhi. So che è arrivata la mia ora. E poi lo sento, lo sparo. Solo che poi sento anche altro. Gente che si muove, macchine che si fermano. Magari sono morta. Ma le sensazioni che percepisco sono vere, non posso essere morta. Apro gli occhi e la prima cosa che vedo è il corpo di quel pazzo che voleva uccidermi per terra. Voleva uccidermi come ha fatto con i miei genitori. I miei genitori che ora sono più in là accasciati a terra senza vita. Sento un uomo avvicinarsi e posarmi una coperta intorno. Non riesco a parlargli, non riesco a riportarmi la coperta sulla spalla quando mi cade. Aspetto che lo faccia lui. Tutto intorno a me è confuso, iniziano ad arrivare altre persone. Alcune da me, altre dalle persone morte. Sono circondata di persone, ma non riesco a guardarle. Non riesco a fare niente. E tutto svanisce.

                ***
Un bip continua a ripetersi nelle mie orecchie. Apro lentamente gli occhi e vedo solo bianco. In un primo momento penso di essere morta, ma poi sento una voce alla mia sinistra.
«Ciao Madison, io sono Cristina e sono un medico. Come ti senti?» mi guarda con uno sguardo gentile, forse un po' troppo.
«Bene, credo» ma non è del tutto vero. Sì, non ho niente che non vada a livello fisico, ma non sto bene. Non sto bene per niente.
La dottoressa mi fa altre domande, e io rispondo in tono monotono, con dei si e dei no.
«Ti ricordi come ti chiami?» perchè queste domande? Non ho mica avuto un incidente. Non capisco, sono confusa. Ma la dottoressa non sono io, quindi rispondo.
«Madison. Johnson.»
«Sai che giorno è oggi?» mi continua a fare domande ma io ormai non la ascolto più.
Lei capisce che voglio essere lasciata in pace, così prende la mia cartella e va verso la porta.
«Ok, adesso ti lascio riposare. Va tutto bene.» non va bene proprio niente. Prima che se ne vada però la fermo, e le faccio la domanda che si aspetta di ricevere da quando mi sono svegliata.
«Dove sono i miei genitori?» con un filo di voce, le lacrime ricominciano a scendere appena apro bocca. E so già la risposta, ma la botta c'è lo stesso. Le sue parole mi tolgono il respiro. E tutto il mio mondo crolla. Tutta la mia vita, la mia normale e bellissima vita se ne va. E sembra solo più un vecchio ricordo. Un ricordo bellissimo, ma che fa male. E adesso, uscita dall'ospedale, invece di andare a casa mia, con la mia famiglia, mi ritrovo a guardare questo edificio che dovrei chiamare casa da ora in poi. Mi fa schifo, mi fa già schifo.
Faccio un respiro profondo, tiro sù il manico della valigia, e inizio a camminare avanti. Verso la mia nuova casa, verso la mia nuova vita.

Two is better than oneWhere stories live. Discover now