Capitolo 5

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Il mio telefono continua a squillare ed io non ho voglia di alzarmi e subirmi tutti i miei dipendenti.
Sono stanchissima anche se sarà tardi, e penso di non voler andare a lavoro.
Sbuffo e apro gli occhi, i ricordi mi investono subito. E non posso non essere disperata per quello che é successo ieri sera anche se devo dire che Evander bacia proprio bene.
Alzo gli occhi al cielo per i miei stessi pensieri.

Prendo il telefono e rispondo senza voglia.
«pronto?» non ho nemmeno voglia di parlare questa mattina.

«Anastasia come stai?» ci mancava solo la voce squillante e disgustosa di mia madre.

«madre. Sto lavorando vi richiamo io appena posso» e cosí metto un fine a quella tragedia. Butto il telefono in un angolo del letto e inizio ad urlare da sola.

«cazzo cazzo cazzo perché proprio oggi? Perché?» continuo a ripetere cose senza senso e mi fiondo in cucina.
Mi preparo un caffe e il piú velocemente possibile lo mando giu.
Vado in camera mia e mi spoglio, corro in bagno e mi fiondo sotto al getto d'acqua calda. Mi rilasso immediatamente.
Passano circa venti minuti ed esco. Copro il mio corpo con un asciugamano e senza voglia vado in armadio e prendo un paio di jeans alti in vita, e abbastanza stretti, ed un maglione azzurro largo.
Un paio di nike bianche e inizio a vestirmi.
Lego i miei capelli in una lunga treccia. Mi lavo i denti e metto un po' di correttore e mascara.
Prendo una borsa bianca con piccoli dettagli azzurri e ci metto tutto quello che serve dentro.

Scendo in garage e prendo la mia bella ferrari nera. La accendo e corro al lavoro.
In meno di venti minuti sono già in azienda. Le porte dell'ascensore si aprono. Sto per andare nel mio ufficio quando vedo Evander vicino alla macchinetta del caffe e mi blocco.
Mi guardo intorno in una possibile via di fuga. Ma ci ripenso su quando vedo dei dipendenti guardarmi incuriositi.
Respiro profondamente e mi avvicino a lui.

«buongiorno» dico senza guardarlo.
Premo un bottone a caso e aspetto il caffe.
Sento il suo sguardo insistente.
«buongiorno Anastasia» la sua voce profonda che mi mette in difficoltà facendomi deglutire.
Alzo gli occhi verso il suo viso. Mi guarda e appena i nostri occhi si guardano mi sorride.
Si avvicina al mio viso e mi stampa un bacio all'angolo della bocca.
Mi fa l'occhiolino e va via.
Resto immobile vicino alla macchinetta che mi avvisa che il caffe é pronto.
Mi riprendo e vado nel mio ufficio lasciando il caffe dove lo avevo ordinato.

Non riesco a lavorare perché continuo a pensare a quello che sta accadendo tra me ed Evander.
Mi rendo conto che non ho mai visto il suo ufficio e una strana voglia di andarci mi fa scattare dalla sedia.
Penso a quello che sto facendo solo quando sento la sua voce che mi da il permesso di entrare.
Deglutisco e penso a qualsiasi scusa plausibile.
Cosa posso dirgli? Dio che stupida.
Entro e richiudo la porta. Lui é girato di spalle e mi prendo un altro po di tempo.

«come mai qui Anastasia?» dice ancora girato di spalle. Ma come fa a sapere che sono proprio io?

«come fai a sapere che sono io?» do voce ai miei pensieri. Lui si gira e mi sorride.

«il tuo profumo» dice guardandomi attentamente. E con questa sola frase il mio cuore accelera e la mia faccia prende fuoco.

«volevo vedere il tuo ufficio sinceramente» dico arrendendomi e sedendomi difronte a lui.
Mi sorride e illumina ogni cosa in questa stanza con i suoi fottuti denti bianchi.

«ha chimato tua madre.» dice frustrato.

«lo so cazzo, ora che faccio?» dico esasperata. Lo guardo in cerca di aiuto ma lui scoppia a ridere.

«non vai incontro alla morte, andremo questo fine settimana.» dice spostando lo sguardo sulle mie labbra.

«COSA?» la mia voce esce piú alta di quello che pensavo. «non ci andremo, non fai sul serio spero» dico sbuffando.

«E invece andremo e dimostreremo che siamo ancora una coppia. Ha chiamato anche mio padre temendo un eventuale divorzio tra noi» dice tranquillamente sorridendo.

«perspicace tuo padre eh?» dico con sorriso beffardo. Lo guardo con sfida e lui inizia a guardarmi sospetto.

«vorresti forse divorziare da me Anastasia?» pronuncia cosí bene il mio nome che mi viene voglia di piangere.
Si alza e si avvicina a me. Mi prende per un polso e con uno scatto mi fa alazare dalla poltrona. Si avvicina ancora di piú facendomi indietreggiare. Sbatto cosí col fonoschiena al bordo della sua spaziosia e ordinata scrivania.

«devo forse mostrarti il motivo per il quale la notte, le urla compiaciute di alcune dipendeti ti svegliavano?» la sua voce é piú roca, alle mie orecchie quasi risulta piú sexy. Cattivo com'é il suo sguardo penetrante é combinazione perfetto per il mio corpo.
Appoggia le mani sui miei fianchi e mi alza facendomi sedere sulla scrivania. Mi apre le gambe e ci si mette in mezzo.
Mi risveglio dallo stato di trance.

«Ti sei fatto le impiegate? COSA?» arrabbiata come non mai cerco di spingerlo via ma non si muove di nemmeno un centimetro, anzi si avvicina ancora di piú respirando la mia aria.

«Evander per favore, spostati» la mia voce é piú calma e i miei pensieri stanno prendendo una brutta piega.
Non so come, riesco a togliermelo di dosso e vado via il piú velocrmente possibile.

É solo un idiota. Io non lo voglio accanto a me, non lo voglio nella mia casa e non lo voglio nemmeno nella mia azienda. Come può dirmi cosí liberamente che si é fatto delle impiegate? Ma come può solo pensare di venirmi a dire che mi tradiva con altre? Si va bene, il nostro non é mai stato un rapporto, non ci siamo mai parlati, mai sfiorati, mi ha baciata per la prima volta all'altare, é stata una cosa di due secondi. Non può fare cosí. Non può a distanza di due anni, cercare di avere un rapporto con me, parlarmi, prepararmi la cena e venire a dormire nel mio letto e baciarmi solo perché mi trova bella. É irrispettoso. Sono anche furiosa con i miei genitori perché hanno voluto che la loro unica figlia si sposasse per interesse e non per amore.
Detto sinceramente poi, io non so cos'é l'amore ma avrei voluto scoprirlo.

Prendo la borsa dal mio ufficio ed esco sbattendo la porta. Che vadano al diavolo tutte le ragazze che lavorano per me.
Tutti qui lavorano per me, comando io e loro questo non l'hanno capito ed é ora di iniziare a fare un po' di pulizia.
Mi dirigo verso l'ascensore ma ad un tratto la mia segretaria mi passa accanto e la guardo sospettosa.

«sei licenziata.» dico soltanto con un sorrisetto stampato in faccia. Poi mi guardo intorno.
«siete tutti licenziati, tornate a casa immediatamente.» dico alzando le spalle.
Guardo una ragazzina, minuta con capelli neri ricci, occhi neri e le labbra cosí rosse che temo sia sangue, ma é solo rossetto e dal modo in cui mi guarda sento che non é andata a letto con mio marito.
«Tu» la indico «vieni qui» dico
Lei con la sua camminata da diva si dirige verso di me e mi sorride.
«si?» la sua voce é melodiosa ma con un pizzico di malizia.

«sarai la mia nuova assistente e come tale, hai il compito di licenziare tutti.» dico alzando le spalle con noncuranza.

«sarà fatto, e mi prendo anche la responsabilità di assumere personalmente nuovi impegati.» dice annotando qualcosa su un foglio.

«mi piace l'idea, ricordami il tuo nome» dico guardandola negli occhi.

«Sarah» dice alzando un sopracciglio. Annuisco e la sorpasso andando verso l'ascensore.

«comunque grazie anastasia» dice sorridendomi.
Sorrido a mia volta perché questa ragazza, mi piace.

Il traffico é la cosa che odio di piú dopo i miei genitori e dopo Evander Won.
Il cellulare che suona per la diciottesima volta mi fa saltare i nervi e mi rendo conto che non ho piú richiamato mia madre e che non me ne frega un cazzo.
Inizio a suonare il clacson e sfreccio tra le macchine.
Prenderò qualche multa forse ma ho l'esigenza di arrivare a casa il prima possibile.

Dopo una buona mezz'ora e altre dodici chiamate senza risposta, arrivo a casa con un mal di testa incredibile.
Si aprono le porte dell'ascensore e mi fiondo nel mio appartamento.
Vado direttamente in camera mia e poso la borsa, mi slego la treccia e tolgo il pantalone restano solo con il maglione largo.
Chiudo la porta e vado in cucina a prepararmi una camomilla per calmarmi almeno un po'.
Ma una sorpresa mi attende appena attraverso la porta.

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