D'accordo o meno, se lo facessero andare così com'è

272 5 0
                                    

Ho lasciato che fosse.
Semplicemente.
Ormai è così che funziona nel mio mondo adulto fatto di incoerenze e contraddizioni.
Da uomo sicuro delle sue scelte e determinato riguardo a ciò che può essere e ciò che non può nemmeno essere pensato, sono diventato un concentrato di fantasticherie, istinti e pulsioni.
E il tutto è ovviamente riconducibile ad una sola causa.
Quella ragazzina di soli diciassette anni ha affondato le sue mani così a fondo dentro di me, senza che me ne accorgessi, che per quanto io tenti quotidianamente di allontanarla, alla fine mi risolvo ad essere il primo a cercarla e a volerla con ogni fibra del mio essere.
«Credevo che dovesse finire con stamattina», ansima e freme eccitata tra le mie labbra, mentre le levo i pantaloni per sovrastarla poi col corpo.
Nascondo un sogghigno tra i suoi capelli, ché nonostante siano trascorsi ormai due mesi di sesso giornaliero, il brivido che provo ogni volta che mi introduco piano nel suo corpo è rimasto immutato.
Se possibile, di volta in volta diventa anzi più forte, nonostante il profilattico, e mi riesce difficile trattenere un verso soffocato nel sentirla annaspare come se le mancasse il respiro.
Come ogni volta, mi è subito inevitabile accompagnare i suoi gemiti e i suoi ansimi con delle spinte più forti, perché più lei geme per me, più io ne voglio di più.
Lascio che sia tutto come deve essere, con i nostri corpi avvinghiati, trascinati in un vortice di fuoco che più brucia e più si alimenta.
Lascio che sia così, su questo letto, ogni volta che posso e ogni volta con più ardore, le pareti della sua cameretta ormai pregne del mio nome e il suo corpo sempre più macchiato e segnato dal mio.
E le sto anche lasciando più libertà, assecondandola in tutto e per tutto in quello che era iniziato come una mia semplice aberrazione e che a distanza di settimane sta già assumendo i tratti della realtà più sbagliata in cui potessi ritrovarmi.
Ho perso l'equilibrio, alla fine. Mi sono lasciato andare a tutto. L'unica cosa che mi aiuta a non coinvolgermi completamente, ora, è il ricordarle ogni volta che deve essere l'ultima.

Che dovrebbe esserlo.

Ma che puntualmente non lo è mai.

Anche il sesso con lei si è trasformato.
Di lenzuolo in lenzuolo, di ansimo in gemito e di orgasmo in orgasmo si è fatto sempre più forte, più intenso e a tratti vorace.
Ogni mio gesto è attraversato da una brama che sembra più l'affiorare in superficie di quel mio desiderio malsano di divorarla, di dilaniarla, di farla completamente mia e di non lasciarle più nulla da offrire al resto del mondo.
Non ci sono più mezze misure nemmeno nelle sue parole, nei suoi versi sempre più sfacciati, nei graffi che mi incide nella schiena, come se fosse incapace di chiedermi di andarci piano, ma avesse bisogno di farmi quanto meno del male per ribellarsi al mio dominio su di lei.
E insieme a tutta questa voglia sempre più animale e divorante, è arrivata la confidenza e la consapevolezza di essere coinvolti in qualcosa di più forte dell'inizio.
Un qualcosa che alla fine l'ha portata a lasciarsi sfuggire di bocca, una volta sorridendo imbarazzata, una volta ansimando e l'altra semplicemente chiamandomi dall'ingresso, quella parola che pensavo non avrei mai più voluto sentir uscire da labbra diverse da quelle di Chelsea.
È stato un pugno nello stomaco quando mi ha chiamato amore la prima volta. Perché le è uscito talmente bene, così spontaneamente e avvolto in tutta dolcezza della sua voce, che mi sono ritrovato a sorriderle come un ebete in un primo momento, rimbrottandola subito dopo di non prenderlo per vizio.
«Perché?», mi aveva domandato e il motivo si è poi palesato ieri pomeriggio nel corridoio della scuola.
Per fortuna ero solo.
E per fortuna con lei c'era solo Beatris.
Mi è passata accanto, ridendo con l'amica di qualcosa che deve averle detto, e mi ha posato una mano sul braccio, ma al posto del solito "buongiorno professore" le è uscito un "ciao amore" che ha fatto tremare il pavimento sotto tutti e tre.
Carter l'ha squadrata allibita- e io l'ho letteralmente incenerita con lo sguardo, mentre lei si guardava attorno per assicurarsi che nessuno l'avesse sentita. Poi, vestendo sulle labbra quel sorriso magico, rimasto intatto e incorrotto, cristallizzato nella bellezza fresca dei suoi diciassette anni, mi ha mimato uno "scusami" con le labbra e si è dileguata con l'amica, voltandosi solo una volta per raccogliere il mio sorriso beffardo e sogghignarne felice.
«Cristo, piccola», gemo disperato, lasciandomi andare su di lei, le braccia affondate sotto al cuscino e le sue gambe avvolte attorno al busto. Sto per esplodere e lo sa anche lei, perché quando sono a pochi attimi dall'orgasmo i miei gemiti cambiano, si lanciano in un crescendo di urla e di versi sommessi e rochi, aizzati e rinvigoriti dalle sue ansimate richieste di amarla più forte.
La guardo, perdendomi del tutto nei suoi occhi. Le pupille dilatate, il respiro che le sobbalza di continuo nel petto, mozzandosi tra le labbra spalancate. Non emette un solo gemito, d'un tratto, ed io mi ritrovo a lottare con me stesso nel tentativo disperato di diminuire le spinte per farla respirare.
«No, continua- continua», ansima senza fiato, afferrandosi alle mie braccia. Divarica le gambe ancora di più, esplodendo di tanto in tanto in alcuni versi che non ho mai sentito uscire dalla sua bocca.
Ma li riconosco subito- mi è inevitabile.
Sta venendo.
E io sto venendo assieme a lei, angosciato e terrorizzato dal tipo di effetto che avrà su entrambe unire i nostri orgasmi in uno solo.
Aumento le spinte, scivolando su di lei in colpi secchi e decisi e il tutto si consuma in una manciata di secondi infuocati, di occhi serrati, di urla e di graffi. Il tempo si ferma. Lo spazio esplode attorno a noi.
Il paradiso non è mai stato più vicino prima d'ora e quando finalmente mi riverso dentro di lei, nel preservativo, la sento scattare in un orgasmo lento e caldo che le graffia la gola e la fa annaspare disperata sotto al mio, altrettanto dilaniante e potente da svuotarmi completamente e farmi crollare sul suo petto, invocando il suo nome di continuo in ansimi rochi e sommessi.
«Sono pazza di te, cavoli», ansima sfinita, affondando le dita tra i miei capelli. «Sono pazza di te»
«Joy», la richiamo in risposta, deglutendo a fatica quelle parole.
Ché già mi chiama amore- ma dal sono pazza di te a qualcosa che non conviene proprio sentire, il passo è veramente breve.
«Lo so, non vuoi che ti dica queste cose», sbuffa, dilatando il petto sotto ad un respiro profondo e rassegnato. «Ma avevo bisogno di dirtelo».
Rimango in silenzio, lasciandomi cullare dal calore del suo corpo e dal suo respiro man mano più regolare e calmo.
Il suo cuore rallenta i battiti e come esso anche i suoi gesti. Le timide carezze che mi lascia lungo il costato, sulla schiena e fra i capelli, diventano più lenti, dolci e soffici.
Mi mordo piano le labbra, liberando il respiro dalle narici, la mente aperta su un vasto territorio di possibilità che non ho mai voluto prendere in considerazione e che ora, invece, mi sembrano in qualche modo dovute.
Mi riscopro a pensare così intensamente a questa domanda, che probabilmente Joy me l'ha già letta negli occhi dopo che ho puntellato il mento fra i suoi seni per guardarla in viso.
«Stai per dirmi che questa è- ufficialmente- l'ultima volta, eh?», sospira contrariata, attorcigliandosi una corta ciocca dei miei capelli all'indice.
Ed è chiaro che no.
Non ha colto.
«Come stamat-»
«Vuoi uscire a cena con me stasera?».
L'ho detto. L'ho fatto davvero.
Non ne ho dubbi, anche perché Joy ha appena sbarrato gli occhi e ha persino smesso di respirare.
«C-come?»
«Lo so, è un'idea del cazzo», mi affretto a precisare. «Ma ormai- arrivati a questo punto, tanto vale essere sconsiderati fino alla fine»
«Harry - tu... sei serio ora o mi stai prendendo in giro?».
Sento il suo cuore martellarle furiosamente nel piccolo costato, mentre mi scruta attentamente in volto.
«Sai...», sospiro, passandomi rapidamente la punta della lingua fra le labbra. «...il fatto che non ti chiami amore, che non ti dica quanto sia- follemente pazzo di te, come invece fai tu di continuo», le rispondo, pentendomi già di ciò che sto per dire. Perché sto pericolosamente spingendo in avanti- e il piede premuto a tavoletta sull'acceleratore, la quinta ingranata e la cintura slacciata mi suggeriscono quanto mortale sia il rischio di perdere il controllo.
«Non significa che per me sia un passatempo».
Sorrido della sua espressione sgomenta, sembra quasi che le abbia appena parlato in un'altra lingua.
«Vero- non so per quanto ancora andrà avanti e francamente ho anche smesso di chiedermelo. Ma- per ora è così e», continuo, ché ormai mi è impossibile tenere a freno i pensieri, «non riesco a fare a meno di te», concludo, alzando le spalle per sottolineare la semplicità di quelle mie parole.
Le stesse che per lei suonano ora come una novità probabilmente difficile da assimilare, considerando la sua espressione, cristallizzata in una smorfia incredula e smarrita.
«Ti prego. Dillo ancora».
Chino il capo, sogghignando deliziato dall'innocenza di quella richiesta appena sussurrata.
«Non posso- fare a meno di te, Joy», sorrido e il mio sospiro imbarazzato le lambisce il petto, ora, facendola fremere tra le labbra schiuse.
«Credevo fosse qualcosa di assodato-»
«Non lo è», trema lei, gettandomi le braccia attorno al collo e io con una lieve spinta mi tiro più su, scivolando sul suo corpo nudo. La avvolgo quindi tra le braccia perché mi senta di più, perché capisca che per quanto sia schivo e restio ad esternazioni come queste, ciò non significa che dentro non nutra qualcosa di più forte di una semplice attrazione fisica.
«Quindi- verrai a cena con me, stasera?», domando ancora, pressando le labbra sul suo collo candido per disseminarlo di soffici baci. «Mm?»
«S-sì, voglio dire... certo!», ride lei, chinando il capo per baciarmi. Tiene gli occhi aperti mentre scioglie la bocca nella mia e dal naso sbuffa una tenue e sommessa risata.
Giusto o sbagliato che sia- per un momento come questo, così felice, intimo e sereno, sarei disposto a sbagliare altre mille volte.
Senza mai pentirmi.

Perciò, dopo averle lasciato il resto del pomeriggio per fare i compiti e dedicarsi allo studio ed alle sue cose da adolescente, mi sono preparato per la nostra prima uscita ufficiale.
Guardandomi allo specchio in anticamera, prima di uscire, l'mpressione è stata di trovarmi di fronte ad un Harry che ormai da tempo non avevo più avuto modo di scovarmi dentro.
La mia immagine riflessa era diversa da quella cui mi ero abituato nel corso degli ultimi tre anni.
La camicia rossa- da sempre compagna fidata per le grandi occasioni- non è più abbottonata fin sotto al colletto e ora i tre bottoncini sono lasciati aperti sul collo e sulla sommità del petto. I capelli sono stranamente ordinati- per quanto il taglio che hanno dia loro il solito effetto spettinato- e il viso è acceso di un'eccitazione nuova, una profonda esaltazione all'idea di passarla a prendere per portarla fuori a cena, perché le coppie fanno così e io e Joy, allo stato attuale delle cose, siamo una coppia di fatto.
Quindi- in fondo, perché no?
Mi infilo il soprabito scuro, rimanendo profondamente e narcisisticamente soddisfatto del mio aspetto e, dopo averle fatto uno squillo per avvisarla che sto partendo, mi fiondo sul vialetto di casa, camminando spedito verso la macchina.
Per tutto il tragitto verso casa sua non riesco a smorzare uno di quei sorrisi che ti si paralizzano sulle labbra e non c'è verso di farli andar via. E quando finalmente accosto davanti alla sua villetta, vederla comparire sulla porta mi fa tremare le ginocchia da seduto e sgranare gli occhi sul parabrezza.

È meravigliosa.

Una piccola dea- in un abito elegantissimo e perfettamente idoneo alla sua giovane età, coi lunghi capelli acconciati in boccoli e onde sinuose- avanza verso di me, sorridendo timidamente a labbra schiuse.
«Ehi», sussurra, guardandomi di sottecchi. «Spero vada bene come vestito, non sapevo che altro - »
«Sei splendida», la interrompo, voltandole il viso per rubarle un bacio.
«Hai fame?», le chiedo poi, carezzandole la guancia col pollice e lei annuisce, regalandomi un sorriso celestiale, di quelli che andrebbero accompagnati da un coro di angeli in sottofondo.
E finora, questo primo appuntamento ufficiale devo dire che è già perfetto.

Joy D. Where stories live. Discover now