Nemmeno Penelope

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Considerando il fatto che fra meno di cinque ore Harry tornerà a casa sua e che ad aspettarlo ci sarà un'altra donna, dovrei preoccuparmi di come passeranno la notte dopo otto giorni di lontananza, più che di altro.
Voglio dire, in tutta sincerità, Sienna dovrebbe essere l'ultimo dei miei problemi, no? Anche perché delle due, sono io quella che ha passato le ultime due notti qui a Firenze tra le braccia di Harry.
Io ho fatto l'amore con lui.
Io l'ho baciato e io ho posato le mie mani sulla sua pelle nuda.
Non lei.
Io.
E vorrei anche che potesse bastarmi.
Sì, lo so. Sono incontentabile.
Sono partita una settimana fa con la convinzione che avrei trascorso otto giorni da incubo e invece mi sono ritrovata a condividere con Harry dei momenti che ormai credevo mi fossero preclusi.
Ed è vero. Ci sono andata a letto.
Ma non mi basta, non posso mentire al riguardo.
Non dopo tutto quello che mi ha dato negli scorsi mesi. Insomma, voi vi accontentereste di vedere il resto di uno spettacolo da dietro le quinte, quando lo avete cominciato seduti in prima fila?
Io non sono una fan del grigio. A me piace la tinta senza sfumature- i colori intensi, la pienezza dei sentimenti e l'appartenenza completa.
E ora che persino Sienna ha deciso di diluire quel colore già di per sé sbavato, non riesco davvero a far finta che mi stia bene.

Alzo gli occhi dal rullo, forzando un sorriso al tecnico che controlla da un piccolo schermo il contenuto della mia borsa- e mi sposto più in là per avvicinarmi ad Harry, in piedi oltre il nastro trasportatore.
Trattenermi è impossibile.
«Stavolta la scusa qual era?», gli domando a bassa voce, tenendo gli occhi fissi altrove. «Non riusciva a chiudere il bagaglio a mano?».
In risposta ottengo una risata sbuffata che Harry si appresta subito a soffocare nella mano, sfregandosi il naso col dito.
«Credevo che l'argomento Sienna Richmond fosse ormai superato - »
«Sì, infatti», replico io, scoccandogli uno sguardo truce. «Ma evidentemente lei non è della stessa opinione»
«Joy, ascolta-», sospira lui, rilassando il volto. «Non fare così-»
«Così come, Harry? Così come?!», bisbiglio fuori di me, afferrando la mia borsa dal cestello.
«Rendi tutto più difficile se ti comporti come una fidanzata gelosa», risponde e per poco resisto alla tentazione di mollargli uno schiaffo davanti a tutti. Sento gli occhi bruciare di collera, mentre saettano sul suo volto. «Sapevamo entrambi che sarebbe successo- e tornassi indietro lo rifarei, sbaglierei ancora. Ma non cambia il fatto che io- Joy, io ho fatto una scelta»
«Già», lo interrompo asciutta, muovendomi davanti a lui per inchiodarlo con uno sguardo sempre più infuocato di delusione. «E mi chiedo come reagirebbe a scoprire che il suo uomo si è trombato l'altra opzione, mentre era via», concludo, sibilando quelle parole ad una spanna dal suo viso.
Non aggiungo altro e, soddisfatta della sua espressione mortificata, lo supero spedita per raggiungere Camille al metal detector.
Ha fatto una scelta. Certo. Ed è tornato sui suoi passi per concedersi un paio di scopate sotto il cielo italiano.
Voglio proprio vedere quanto irreprensibile e stoico rimarrà il suo comportamento, quando saremo tornati a Bournemouth.
Visto che è sempre così onesto e corretto con le persone, mi domando se avrà le palle di dirle tutto. Magari le confesserà di essere venuto a letto con me- subito dopo averlo fatto con lei.
"Oh, sì...è stato bellissimo, però ti ho tradita con una mia studentessa- tu invece come hai passato questi giorni?", mi viene da ridere solo perché la soddisfazione di vedermi piangere ancora una volta per lui non gliela concedo più.
Detto fuori dai denti, la sua- e ne sono sempre più convinta- non è stata affatto una scelta. Per quanto mi riguarda ha semplicemente imboccato la via più semplice, visto che l'altra riguardava me, la mia giovane età e tutto ciò che conseguirebbe avere una relazione così fuori dal comune.
E sia mai che un uomo scelga la strada più tortuosa- ne ho una prova eclatante in famiglia.
«Smidollati», sibilo stizzita fra me e me, dando voce ai miei pensieri e con un sospiro prendo posto accanto al finestrino.
Fortunatamente Tris e Marion sono sulla mia stessa lunghezza d'onda, in quanto a pessimo umore- forse a causa della classica nostalgia del ritorno. Perciò mi infilo le cuffiette e mi lascio distrarre dalla musica, scrutando di tanto in tanto le nuvole e la terra lontana- immobile sotto ai nostri piedi a chissà quanti piedi di distanza.
La Manica è là, da qualche parte a nord, ma non la cerco né la immagino.
Mi va bene così. Sapere di essere quassù, nel limbo, mi fa sentire meglio.
Harry siede a quattro file di distanza davanti a me. Posso vedere i suoi capelli, ché col suo metro e ottantasette supera persino il sedile, perciò ogni suo minimo movimento attira i miei occhi come una calamita, anche quando mi costringo a non prestarci attenzione.
All'andata sedeva dietro di me di parecchi posti e mentre mi sedevo, allora, ricordo di aver pensato che come inizio della gita era davvero penoso.
Tre ore senza poterlo guardare. Un incubo.
Adesso persino quell'aspetto della partenza riesce a infondermi nostalgia- e questo ritorno non fa altro che deprimermi sempre di più, minuto per minuto.
Le hostess non ci servono il pranzo, questa volta, e l'atmosfera che si respira fra i miei compagni è triste e malinconica, quasi che una volta scesi da questo aereo, ci si aspetti di non rivedersi mai più.
Anche l'atterraggio va' ad accodarsi all'elenco infinito di aspetti negativi di questo ritorno a casa.
Sono dieci minuti che l'aereo sta svolgendo delle manovre oscene, abbassandosi di quota attraverso quelli che mi sembrano dei movimenti a spirale. Non saprei dire con certezza cosa stia accadendo, ma i piegamenti prima da un lato e poi dall'altro dell'aereo mi suggeriscono che stiamo eseguendo dei cambiamenti di rotta improvvisi a seguito dei quali ci abbassiamo sempre di più.
Chiedo a Tris cosa diamine stia succedendo, ma a giudicare dalle sue risate e da quelle del resto del gruppo attorno a noi, non direi sia qualcosa per cui preoccuparsi.
Certo, per loro deve sembrare quanto di più simile ad una giostra del lunapark. Divertentissimo.
Per il mio stomaco, invece, suona diversamente e l'ennesima virata ora la percepisco come un avvitamento dell'intero aereo su se stesso.
E subito, ad avvitarsi e contorcersi insieme ad esso c'è anche il mio stomaco d'un tratto in subbuglio, trafitto dalle nausee.
«Oh, merda- Joy? Devi vomitare?». La voce di Tris arriva una manciata di secondi prima del conato, ma faccio comunque in tempo ad afferrare il sacchetto apposito sotto al sedile.
Non è un bello spettacolo, quindi ve lo risparmio- anche perché si protrae finché le ruote del carrello non toccano la pista, dandomi la mazzata finale.
E in onor del detto "non c'è limite al peggio", Harry si è prodigato di venire in mio soccorso non appena gli è stato possibile alzarsi dal suo posto.
Quindi ora non solo mi sento uno straccio per via della nausea, del viaggio orrendo e della depressione post idillio tra le sue braccia, ma devo anche sopportare che mi veda in queste condizioni.
Potevo chiedere di meglio?
L'unica soddisfazione che mi resta è quella di sfilare davanti a Sienna Richmond con Harry al mio fianco, mentre si trascina dietro la sua valigia e la mia per non farmi sforzare troppo- e quando raggiungiamo i pullman nel parcheggio dell'aeroporto ho persino l'onore di sedermi accanto a lui.
«Vuoi un po' d'acqua?», m domanda, porgendomi la sua bottiglietta, ma sono consapevole che il mio stomaco rigetterebbe su anche quella, incazzato com'è.
Scuoto lentamente il capo e poggio la testa al sedile, respirando piano dal naso per attenuare i crampi.
Il tragitto di ritorno a scuola dura poco meno di un'ora e per tutto il tempo cerco di tenere gli occhi fissi sulla strada, sforzandomi di non chiuderli nonostante il sonno e la spossatezza si siano fatte tiranniche.
Quando arriviamo, le auto dei nostri genitori sono già accalcate nel parcheggio della scuola.
Harry mi aiuta a infilarmi la giacca, posandomi poi una lieve carezza sulla schiena mentre il pullman si ferma.
«Vedi tua madre?», mi domanda poi, scrutando lo spiazzo dal finestrino. Giro debolmente la testa per scovare la sua volvo nera tra le decine di auto, ma prima di individuarla, i miei occhi mettono a fuoco qualcosa che non pensavo mi sarei dovuta aspettare.
«Qu-quella non è- la tua macchina?», ansimo col cuore in gola, gli occhi ora fissi sul suo viso improvvisamente teso e scuro.
Annuisce.
Quindi quella donna seduta al posto di guida...
«Capisco», ribatto in un sussurro, reggendomi al sedile per raggiungere l'uscita.
Ho bisogno d'aria.
Niente appelli, a questo giro, per fortuna.
Saluto le ragazze e il resto della classe dopo aver recuperato la mia valigia e Harry, di nuovo, mi si avvicina per scortarmi fino alla macchina di mia madre.
Ogni mia ribellione a quel suo eccesso di premura si risolve inutile e ora devo persino far buon viso a cattivo gioco mentre Harry le spiega che ho tirato su anche l'anima durante l'atterraggio.
«Sto bene, mamma- non preoccuparti», sussurro poco dopo, prendendo posto davanti con gli occhi fissi sull'Audi di Harry.
Che bel quadretto.
La bionda mozzafiato scende dalla macchina e, incurante dei miei occhi sanguinanti, gli getta le braccia al collo come se fossero passati otto secoli, al posto di otto giorni, dall'ultima volta che l'ha visto. Nemmeno Penelope ha reagito così dopo aver rivisto Odisseo- e stiamo parlando di venti anni di separazione, voglio dire, non si rende conto di quanto è ridicolo al confronto?
«Joy? Mi hai sentito?», sorride mamma al mio fianco, uscendo dal parcheggio, e i suoi occhi scivolano sulle mie dita strette spasmodicamente alla borsa.
«Cosa?»
«Ti ho chiesto com'è l'Italia», ripete lei, scuotendo poi il capo, ma di nuovo non ottiene alcuna risposta da parte mia, visto che stiamo passando esattamente di fianco a Harry e alla sua fidanzata proprio in questo istante. Se dovessi aprir bocca, uscirebbero delle parole ben poco felici- e non di certo sulla gita.
Perciò ingoio a forza ogni singolo insulto avvelenato e mi limito a rispondere allo sguardo della bionda con fierezza e sfacciataggine.
Me lo sono scopata, grandissima stronza. Me lo sono trombato, capito? T r o m b a t o- e quasi vorrei che quel pensiero mi si incidesse a caratteri cubitali in mezzo alla fronte, ora.
Così, a titolo informativo. Ché è giusto metterla al corrente di quanto Harry non sarà mai più completamente suo.
«Joy, sei sicura di star bene?».
La voce di mamma mi riporta brutalmente in macchina, costringendomi a distogliere lo sguardo dal mio incubo incarnato e fattosi donna.
«Sì», rispondo sfinita. «Uhm- Firenze è stata- un sogno».
Un gran bel sogno, sì.
Ma davanti agli occhi- al posto di Palazzo Vecchio, Santa Maria del Fiore, dei paesaggi fiorentini e dei monumenti centenari-vedo solo un paio di occhi verdi, belli da far male.

Joy D. Where stories live. Discover now