Capitolo 12

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Pov Arthur

Non mi capita molto spesso di avere una giornata intera di riposo. Di solito il sabato e la domenica li uso per uscire con i miei amici e mai per pensare a me. Dovrei iniziare a dire più no e meno sì.
Al telegiornale trasmettono solo notizie negative e questo mi fa pensare che in questo mondo non sono l'unico ad avere problemi.
Solo una sana tazza di thè inglese potrà farmi star tranquillo per qualche oretta.
Da quando mi ero lasciato con Alfred, Romano, è diventato molto oppressivo e ovunque io andassi doveva venire con me, semplicemente per non farmi incontrare con Alfred, di nuovo. Lo rassicuravo, cercavo di inventarmi la scusa del "tanto lo incontro al lavoro". Perché volevo vederlo, non mi importava che mi avesse lasciato perché non riuscivo a dirgli ciò che provavo. Lo amavo e volevo vederlo, costi quel che costi.
Sorseggio un altro po' di thè, sperando di rilassarmi.
Alfred mi ha confessato che non ha mai smesso di amarmi e nonostante avesse provato a dimenticarmi non ci riusciva. Quando disse quelle parole, fece in modo di fiondarmi altri dubbi dentro di me. Per quale motivo mi avrebbe lasciato, se mi amava ancora? Non riusciva a sopportare la nostra relazione? Il fatto che non lo amassi era solo una scusa per allontanarsi da me? Oppure... oppure sta semplicemente prendendosi gioco di me? Non ne ho idea, ma spero con tutto me stesso che non stia giocando con i miei sentimenti.
Tutto d'un tratto sento il citofono suonare. Mi chiedo chi sia.
Appoggio la tazza sul tavolino davanti a me e dopo poco mi alzai dal comodo divano che mi ospitava.
Apro la porta e davanti a me ritrovo un enorme mazzo di rose, che quasi quasi non mi concedono la vista del fioraio.
«Scusi, lei è il signorino Kirkland?»
«Si, sono io...»
Rimango per pochi istanti senza fiato dal contemplare queste meravigliose rose. Sembra che risplendano di luce propria.
«Ottimo! A lei.» sorride il fioraio «Dentro al mazzo c'è un fogliettino!»
Dopo aver preso in mano il mazzo di rose e aver salutato il fioraio, rimango ad assaporare, davanti alla sogliola di casa, il profumo incantevole che emanano questi fiori.
«Arthur...»
A togliere l'attenzione dal momento di fantasia che si era creato tra me e me, è la mia vicina di casa, che si avvicina a me sorridendo. È anziana e da qualche anno gli è morto il marito. Quando posso faccio la spesa sia per me che per lei. I suoi figli si sono trasferiti a Los Angeles, intraprendendo la vita da cantante. Ovviamente si sono dimenticati della madre e nonostante tutto, lei, crede ancora nel loro ritorno prima della sua morte. Mi rende assai triste.
«Signora Madison, siete andata a fare una passeggiata?» sorrido mentre tengo ancora tra le mani il mazzo di fiori.
«Arthur, figliolo, non darmi del lei! E comunque si, una passeggiata non fa mai male...» sorride per poi notare con lo sguardo i fiori «e questi fiori?»
Lei sa praticamente tutto di me e io so tutto di lei e di suo marito ormai defunto. Hanno passato davvero tanto per venire ad abitare qua a New York. Ma finalmente ha trovato la pace.
«Oh! Dici questi? Non lo so... stavo giusto andando in casa per scoprire chi fosse!»
«Non ti disturbo ulteriormente, ci vediamo Arthur!»
Piano piano avanzando verso la sua porta mentre viene accompagnata dal bastone, riesco a intravedere in lei la mia defunta madre. Chissà se si sarebbe dispiaciuta per la mia partenza? Oppure sperava di vedermi arrivare a casa. Bè, questo non lo saprò mai.
Rientro in casa dopo aver salutato la signora Madison e col piede chiudo la porta. Ritorno a osservare le rose. Appoggio il cesto sul tavolino e mi chino davanti a lui, appoggiando sotto le mie ginocchia un cuscino.
Dopo un po' di ricerche, riesco a trovare il bigliettino. Apro la piccolissima busta e estraggo l'altrettanto piccola lettera.
Quasi rimango spiazzato dal mittente della lettera. Essa, recita testuali parole:
«So di averti ferito. Sicuro ti avrei perso e chissà, quel ritorno di fiamma non ci poteva essere. Ti amo. Alfred F. Jones»
Non avevo minimamente pensato che fosse lui. Non avevo nemmeno pensato che avesse così tanti soldi da spendere, per me.
Mordo nervosamente il labbro superiore. Questo gesto mi fa capire che sto ancora tentennando sul daffare. Quasi di scatto prendo il telecomando della televisione. La spengo con un semplice tasto. Mi alzo lasciando a terra il cuscino che avevo sotto le ginocchia e dopo essermi precipitato davanti la porta, infilo il primo paia di scarpe che trovo. Prendo il cappotto. Non posso lasciarmelo per la seconda volta...  





















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Forse è troppo corto questo capitolo, MA FIDATEVI, che per quello che voglio fare io, il prossimo capitolo sarà molto lungo. Quindi mi sdebiterò per i due capitoli corti che ho fatto e ne farò uno... mamma mia... ne farò uno. eue
Diciamo che il capitolo 13 sarà deciso in tutto per tutto per questo libro. PER QUESTO NON FATEVELO SCAPPARE! 
E ora vi lascio, adiòs! E perdonatemi ancora tantissimo, mi rifarò con il prossimo capitolo giurin giurello (qualcuno usa ancora giurin giurello!? Io boh- avvolte) 
  

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