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Strinse la maniglia della valigia nera con forza, le luci dei lampioni illuminavano fiocamente la deserta via verso la stazione, il vento soffiava impietoso tra i palazzi di San Pietroburgo, ululando nello sbattere contro gli angoli degli edifici. Rigirò il bavero del cappotto borghese, si coprì bene la bocca e il naso con la sciarpa, entrambi strumenti molto utili nelle azioni di spionaggio svolte in passato, soprattutto nei casi in cui gli individui da seguire lo conoscessero; controllò con occhi fugaci che nessuno dei suoi commilitoni fosse nei paraggi. Per sua fortuna, pareva non esserci anima viva.

Strano, si disse, Meglio stare all'erta.

Non aveva avvisato né Gorlinskij, né tanto meno i suoi subordinati della sua partenza: l'unico ad esserne a conoscenza era il soldato che gli aveva dato la malaugurata notizia, e lui lo aveva ben pagato per tacere sulla faccenda. Anche perché, se così non fosse stato, si sarebbe ritrovato mezza Russia alle calcagna.
<<Dica dove sono solamente nel caso in cui La minaccino.>> aveva ordinato alla spia quando questi era giunta per consegnargli il visto <<Altrimenti, finga di non sapere nulla.>>
Gli sembrava la cosa più giusta da fare. Avrebbe risolto il problema personalmente, magari contrattando con l'ex Imperatrice, ma avrebbe posto fine a quelle stupide dicerie. Anastasiya era morta. Avrebbe riportato a casa Anya.

L'idea di lasciare la Russia l'aveva sulle prime terrorizzato, nonostante i forti sentimenti che gli bruciavano nel petto: dopotutto, su cosa avrebbe potuto fare affidamento, fuori dal suo paese? Non conosceva lingue differenti dal russo, eccetto un biascicato tedesco, dunque come avrebbe potuto sopravvivere in Stati di cui non conosceva né la lingua, né le leggi?
Ma poi, quando la mente era giunta al punto da rifiutarsi di combattere l'animo ed il cuore aveva finalmente sollevato una bandiera vincitrice, non si era più preoccupato delle sue conoscenze.
<<Per Anya.>> si era detto sottovoce uscendo di casa.
Per la Russia, lo aveva corretto immediatamente il cervello.

Superò rapidamente i pilastri della stazione di Leningrad, dove la vita era estremamente attiva, nonostante l'ora tarda ed il coprifuoco già suonato da un pezzo; uomini armati pattugliavano le estremità dell'atrio marmoreo, bambini si lagnavano per il sonno, donne correvano lungo l'enorme sala con gli stivaletti che ticchettavano sul pavimento di pietra, ed il capostazione cercava, con la sua voce possente, di sovrastare quel caos notturno per richiamare l'attenzione sulla partenza e sull'arrivo dei treni.
<<Leningrad - Costantinopoli in arrivo sul binario!>> annunciò, emergendo faticosamente da quella cacofonia di voci a suon di fischietto.
Era il suo treno.
S'infilò tra la folla con rapida maestria, instillata in lui dopo anni di spionaggio, schivò gomitate, pestoni, movimenti errati che, se fosse stato una persona qualunque, l'avrebbero intralciato, e raggiunse in poco tempo il binario, l'unico della stazione ancora in attività. Nonostante tutto l'impegno che il governo stava impiegando per rimettere al mondo la Russia, i mezzi di trasporto si facevano ardui da trovare, soprattutto se si tentava d'uscire dai confini dello Stato; Stalin non era entusiasta all'idea dell'emigrazione. La popolazione russa doveva restare in Russia. Riportarla agli apici, come una volta. Era tradimento tentare di scappare, ed era per questo che i treni intercontinentali partivano durante la notte: non c'erano mai controllori troppo fiscali a bordo di quelle bestie a carbone, e i soldati addetti alla supervisione della stazione chiudevano spesso e volentieri un occhio. Gleb avrebbe dovuto essere scontento di quell'inefficienza. Eppure, al momento, non poteva far altro che ringraziarla.
Si fermò a pochi passi dalle rotaie, tutto bardato nel suo cappotto nero, con il pesante colbacco premuto sui suoi capelli corvini e la sciarpa che quasi gli impediva di respirare, lasciò lo sguardo errare sulle silenziose figure che lo circondavano: avrebbe riconosciuto il loro portamento e quella loro aria di superiorità ovunque. Erano tutti aristocratici in fuga verso l'Europa, la terra della salvezza. Una volta a Costantinopoli, di sicuro li avrebbe reincontrati tutti quanti sull'Orient Express, che li avrebbe condotti a la Gare de Paris Est, in Francia, dove a sua volta li attendeva un futuro ignoto. Lui stesso non sapeva che cosa avrebbe fatto una volta a Parigi, ma al momento non se ne faceva un cruccio: era sempre stato bravo ad improvvisare.

Insieme a ParigiWhere stories live. Discover now