Hey Jude

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“La canzone di adesso la conoscete sicuramente tutti” disse il biondino, mentre l’altro chitarrista sfogliava distrattamente lo spartito che si trovava a pochi passi da lui. Sembrava un gesto meccanico, assolutamente non necessario ma ormai usuale, tanto che quel libro pieno di accordi non ricevette nemmeno un’occhiata durante tutto il resto della serata.

“Quindi vi chiediamo di aiutarci, tutti quanti. D’accordo?”

Un urlo si levò fra la gente.

Mentre continuavano ad esaltare il pubblico con qualche urlo e qualche accordo a vuoto, sia il cantante che il chitarrista finirono di scolarsi la loro birra, accompagnati dal rullo di tamburo creato dal percussionista.

Hey Jude

Non appena udii le prime due parole della canzone scattai in piedi, battendo pesantemente le mani sul tavolo.

“Cosa diavolo ti prende?” mi chiese Allie, preoccupata, sgranando i suoi enormi occhi blu.

Scossi la testa, interdetta, cercando di sembrare il più naturale possibile.

“Niente, niente. È che devo andare in bagno. Sai, la birra inizia a fare effetto” mi giustificai, portandomi una mano sulla pancia.

Svicolai abilmente dal suo sguardo inquisitorio e dalla panca sistemata dietro al tavolo di legno, e mi diressi a grandi passi verso il bagno. Passare vicino al palco era inevitabile, ma mi impegnai a non alzare minimamente il volto per guardare il terzetto che stava suonando la mia canzone.

Aprii di scatto la pesante porta di legno massello del bagno delle donne. La differenza di luminosità con il resto del locale era impressionante e, come al mio solito, fui costretta a socchiudere gli occhi per non rimanere accecata dalla brillantezza delle mattonelle di ceramica gialline. Salutai con un veloce cenno della mano Hayley, la donna delle pulizie, e mi fiondai dentro il primo bagno libero.

Hey Jude, don't be afraid

Nonostante fossi chiusa lì dentro, riuscivo a sentire nitidamente la voce, le chitarre e le percussioni della cover band. Alzai gli occhi al cielo: la foga di andarmene dal tavolo mi aveva fatto dimenticare che le casse erano presenti anche in bagno.

Avrei dato volentieri una testata su una qualsiasi parete del cubicolo in cui mi ero rintanata, ma probabilmente avrei provocato troppo rumore, destando i sospetti di Hayley.

Non dovevano e non potevano suonare quella canzone. Mi portai una mano nei capelli, scompigliandoli, sull’orlo di una crisi di nervi. Un’insensata ed incondizionata crisi di nervi.

Cercai di regolarizzare lentamente il respiro. Quella non era assolutamente la prima volta che qualcuno, dentro quel posto, suonasse una cover di Hey Jude. Eppure, in quel momento, la cosa m’infastidiva, mi urtava. Avrei voluto uscire da quel bagno, salire sul palco e far zittire quei tre.

Ero spaventata dalla mia stessa reazione.

La tranquillità che ero riuscita a raggiungere poco prima era totalmente sparita.

Provai a frenare quell’irrazionale paura, causata da chissà cosa. Abbassai il copri water, pulitissimo come sempre, e mi ci sedetti sopra. Poggiai i piedi sulla plastica bianca, appuntando mentalmente di ripulirla prima di uscire, e strinsi le gambe al petto, accoccolandomi su me stessa. Con la fronte sulle ginocchia e la faccia affondata, tenevo gli occhi chiusi, alla ricerca di un po’ di lucidità e razionalità.

Era inutile fingere anche a me stessa, sapevo benissimo che il fattore scatenante di tutta quella reazione esagerata fosse quella canzone. Ma, semplicemente, non ero in grado di spiegarmi il perché. Con gli anni avevo imparato a convivere coi ricordi che mi comportava e ormai non aveva quasi più nessun effetto su di me. Raramente mi capitava di tornare triste e malinconica, ascoltandola. Era passato molto tempo, dopotutto.

Please, please meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora