38.Prima dovrà passare sul mio cadavere

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La corvina sbiancò di colpo. Gli occhi sbarrati, un'espressione esterrefatta e spaventata sul volto. Cercò di fare un passo indietro, ma si accorse di essere praticamente circondata. Decine di sguardi incuriositi e stupiti le stavano addosso attenti, in attesa di una sua qualche spiegazione. Tutti sembravano volerle urlare: "Conosciamo il tuo segreto!" e la stavano mettendo a disagio come non mai. Si guardò intorno, in cerca di una qualche via di fuga, ma non la trovò, così fece la prima cosa che le venne in mente: - Guardate! C'è un asino volante! - gridò, d'un tratto, indicando la finestra davanti a sé. Non si sa come, riuscì a distrarli e a fuggire dalle loro grinfie. Arrivata in corridoio però, inciampò nell'ultima persona che avrebbe voluto incontrare: Adrien Agreste. Al contrario, lui non l'aveva notata. Camminava a sguardo basso e a passo svelto. Marinette lo afferrò per un polso, prima che potesse sfuggirle via dalle mani. Lo tirò con forza e lo spinse in un'aula vuota che si trovava lì vicino, ignorando volutamente i suoi lamenti. Non le importava di fargli male, né di mantenere un tono di voce basso e tranquillo. Infatti: - Come hai potuto? - sbraitò, adirata. Il ragazzo sobbalzò e la guardò finalmente in faccia. La corvina notò che avesse due enormi occhiaie violacee sotto i suoi occhi color smeraldo: evidentemente non doveva aver dormito molto. Sembrava parecchio giù di corda, oltre che stanco. Marinette non gli diede la possibilità di rispondere: - Mi spieghi che diavolo ti é saltato in mente? - continuò, rossa in viso. Gli occhi le stavano cominciando a pizzicare, così deglutì e ricacciò le lacrime indietro. "Non questa volta" si disse. - Io... M-marinette, non so davvero come scusarmi per quello che ho fatto. Sono stato un mostro: non avrei mai dovuto trattarti in quel modo. In questi giorni sono stato da schifo, credimi. Non sono riuscito a chiudere occhio a causa dei sensi di colpa. - mormorò, guardandola fisso negli occhi. Marinette però, nonostante sembrasse più che dispiaciuto, non si lasciò impietosire dalle sue parole: - Le scuse non bastano, Adrien! Tu mi hai usata, prendendoti gioco dei miei sentimenti. Te ne rendi conto? Ti ho rivelato il mio segreto perché mi fidavo di te! Come hai potuto tradirmi in questo modo ed andare a spiattellarlo a tutti senza un minimo di buonsenso? - lo accusò, delusa. Lui sbarrò gli occhi ed assunse un espressione del tutto confusa. - Che cosa? Adesso cosa c'entra il tuo essere Ladybug? - domandò. Tutte quelle urla gli stavano mandando in pappa il cervello a tal punto, che persino la sua voce gli sembrava estranea. Marinette sospirò forse per la decima volta, cercando di trattenere la rabbia, ma invano. - Non far finta di non saperlo, Adrien! Sei stato tu a rivelare il mio segreto! - sputò tutto d'un fiato. - Come? Non ne avevo idea! Non sono stato io, te lo giuro! - il biondo si discolpò, cercando di avvicinarsi a lei e di farle capire che stesse dicendo la verità attraverso i suoi occhi verdi. - Stammi lontano! - ma lei lo respinse. A quel punto, Adrien si fermò di colpo, stralunato. - Io... Marinette, non l'avrei mai fatto... io ti... - - Smettila di dire bugie! Ti sei vendicato, non é vero? Avrei dovuto dartelo più forte quello schiaffo! - gridò ancora ed ancora: aveva completamente perso il controllo. Infatti, se Adrien avesse fatto un solo passo in avanti, probabilmente la corvina l'avrebbe spezzato in due. Fu proprio per questo che decise di andarsene, prima che le potesse anche solo venire in mente di farlo sul serio a fettine. Ma, quando si voltò, il ragazzo tentò di fermarla: - Marinette, aspetta! Ascoltami! - non gli diede retta, fulminandolo con lo sguardo. - Non ho più voglia di restare qui a perdere il mio tempo insieme a te. - esclamò, sprezzante. - Ma, Marinette... - Adrien non demorse, facendola irritare ancor di più. In un ultimo tentativo quasi disperato, le afferrò un braccio e le rivolse uno sguardo supplichevole, prima che lei se lo scrollasse di dosso, uscisse dall'aula, voltandogli le spalle e gli promettesse che non gli avrebbe rivolto mai più la parola.

Marinette sospirò, stropicciandosi gli occhi stanchi con una mano. Quella mattina, dopo la lite con Adrien, era rientrata in classe e aveva cercato di seguire le lezioni, facendo finta di niente. Aveva acchiappato varie occhiate incuriosite dai suoi compagni, ma le aveva prontamente ignorate. Alya invece, aveva continuato a rivolgerle sguardi adoranti e pieni di venerazione, neanche si fosse trovata di fronte ad una dea. Marinette ci aveva riflettuto a lungo: avrebbe dovuto assolutamente trovare una soluzione per cercare di tirarsi fuori dai guai. Papillion non era uno stupido: tutta quella faccenda avrebbe potuto essergli vantaggiosa, e questo non doveva succedere. Non era ancora riuscita a parlare con il suo Kwami a riguardo, ma era certa che anche lei sarebbe stata d'accordo. Infatti, quando quella sera stessa le due si confrontarono sull'accaduto, Tikki: - So io a chi potremmo chiedere aiuto. - disse, cercando di rassicurare la sua portatrice. La cosa aveva scioccato anche lei, del tutto convinta che Adrien fosse un bravo ragazzo. Inutile dire che si era dovuta ricredere all'istante, anche prima che rivelasse la vera identità di Ladybug. - A cosa pensi? - le domandò, d'un tratto, volandole accanto. - A niente, Tikki. - rispose. "Solo a quanto sia ingiusta la vita" avrebbe voluto aggiungere. Si trovava seduta sulla sedia della sua scrivania e stava fissando un foglio bianco da più di mezz'ora, trattenendo la matita in mano quasi come se si stesse aggrappando all'unica ancora di salvezza che le era rimasta. Disegnare era da sempre stata l'unica cosa in grado di tirarla su nei momenti più tristi. Eppure, in quel caso non pareva funzionare affatto. Forse perché la sua creatività era rimasta ingarbugliata in quell'intrigo di pensieri, per i quali la sua mente non era riuscita a smettere di arrovellarsi neanche un secondo. D'altronde, nel giro di pochi giorni le era successo di tutto e di più. Ad un certo punto, un forte rumore proveniente dalla finestra accanto a sé la fece trasalire. Si voltò di scatto e la scoprì completamente spalancata. Così, con il cuore che le martellava in petto come un tamburo, le si avvicinò per chiuderla, credendo si fosse trattato soltanto di una folata di vento particolarmente forte. La cosa strana però, era che quella sera non ve ne fosse affatto. Quando poi, udì il suono di alcuni passi ed una voce familiare esclamare: - Ciao, Marinette. - le parve di star vivendo un deja-vu. - Nathaniel... - sussurrò, girandosi verso di lui e riconoscendo i lineamenti del suo viso coperto da una maschera, insieme al colore dei suoi capelli. Sembrava diverso dall'ultima volta in cui era stato akumizzato e si era presentato a casa sua per invitarla alla sua festa di compleanno. Appariva quasi più maturo e, per questo, forse anche più malvagio. Infatti, il suo aspetto le incuteva un forte senso di ansia, perché il suo sguardo era profondamente cambiato: le sopracciglia inarcate e l'aspro sorriso che gli cappeggiavano sul volto erano a dir poco inquietanti. - Sbagliato! - le si avvicinò, incominciando a ridacchiare istericamente. - Che c'é? Non ricordi più il mio nome, Marinette? - la sbeffeggiò, riferendosi al suo appellativo "Le Dessinateur". - Che cosa ci fai qui? - domandò lei. - Non é ovvio? - scosse la testa, mentre il rosso faceva altri passi in avanti e le sfiorava il mento con la mano destra. - Voglio che tu stia con me, Marinette. Adrien non ti merita affatto, ma io sì, perché non oserei mai, mai farti del male. - quando gli occhi della ragazza incontrarono i suoi, li scoprì iniettati di sangue. Un guizzo di terrore le attraversò lo sguardo, ma lo fece così in fretta che, fortunatamente, all'altro passò inosservato. Marinette deglutì a vuoto, cercando di non mostrarglisi spaventata. Non ne era certa al cento per cento, ma ricordava che Tikki le avesse parlato di come chi veniva akumizzato più di una volta acquisisse una parvenza più minacciosa, oltre a poteri più forti. - Non credo che tu sia nelle condizioni adatte ad affrontare questo tipo di discorso, forse dovresti semplicemente cercare di calmarti un pochino e... - lui non la lasciò nemmeno finire di parlare, perché: - Calmarmi? Vorrai scherzare! Dopo quello che ti ha fatto Adrien? Non ho intenzione di fargliela passare liscia tanto facilmente! - le sue labbra si aprirono a mostrare due file di denti bianchi e splendenti, ma di forma più affilata del normale. - C-cosa intendi dire? - lei rabbrividì. - Lo vedrai. - fu la sua risposta. Nel momento in cui lui fece un ulteriore passo in avanti, Marinette si spinse bruscamente indietro, ponendo le mani in avanti e dimenticando, per un attimo, che non avrebbe dovuto fargli perdere la pazienza: era praticamente terrorizzata da ciò che le avrebbe potuto fare. Inutile dire che il ragazzo non la prese affatto bene. - Ah, allora le cose stanno così? - gridò, deluso. - Lo sai, in giro ho sentito dire tu sia la vera Ladybug. Non ci ho creduto, ovviamente. "Chi mai paragonerebbe quella stupida eroina presuntuosa alla tenera, dolce e gentile Marinette?" mi sono chiesto. - incominciò, giocando con la sua matita. - Ma, in fondo, tutti possono sbagliare. Non é vero? - - Cosa te lo fa pensare? - - Be', non lo so... Se, per esempio, adesso io impugnassi la mia matita e disegnassi Chat Noir senza la sua solita lingua lunga, tu che faresti? - la provocò, sapendo di andare a toccare un suo punto debole. - Non ti azzardare! - quelle parole fuoriuscirono dalle sue labbra fin troppo velocemente, perché la bruna potesse anche solo cercare di trattenerle. Si portò entrambe le mani alla bocca, tappandosela, ma ormai era troppo tardi. - Aha! Ecco a che cosa mi riferivo! - Le Dessinateur sembrò entusiasta nello scoprire di avere ragione. - Ti sbagli: non hai alcuna prova per dimostrarlo! - ribatté lei. - Oh, tu credi? Io non ne sarei così sicuro. Piuttosto, penso che adesso andrò a fare una visitina ad un certo gattaccio nero di tua conoscenza. Chissà, magari lui saprà dirmi di più. Ma sta' tranquilla, non gli torcerò neanche un capello! - furono le ultime parole che pronunciò, un instante prima di scomparire nel nulla, quasi come non si fosse mai realmente trovato lì. Qualche secondo dopo: - Marinette, dobbiamo fare qualcosa! Chat Noir potrebbe essere in pericolo! - la vocetta squillante del suo Kwami la ridestò dallo stato di trance in cui era caduta, facendola trasalire. Non si sarebbe mai potuta perdonare, semmai avesse lasciato qualcuno far del male al suo compagno di battaglia, perciò: - Prima dovrà passare sul mio cadavere. - esclamò.

Serena

A puuur-fect love story #Wattys2020Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora