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La sua amica era in ritardo. Era una giornata grigia e i vetri dentro erano unti e appannati. Il cameriere, passando, teneva d'occhio il suo tavolo. Quando finalmente era arrivata, lei aveva spostato la borsa per farla sedere. L'altra si era tolta la giacca e l'aveva avvolta alla sedia. Parlava al telefono, ridacchiava. Aveva un profumo dolciastro. Il cameriere aveva portato i menu. La sua amica aveva spento il telefono e con un'espressione sconsolata aveva allungato una mano a toccare la sua. Le sue dita erano fredde. «Allora, come stai?»
«Ho solo mezzora. Prendiamo un'insalata.»
L'altra aveva aperto il menu. L'aveva richiuso. «Peccato. Qui non ci saranno le gondole, ma il baccalà ti assicuro è una favola.»
«Non ho molta fame.»
«Ma che succede?»
Brusii, risate. Tintinnare di bicchieri.
Si era guardata le mani. «Succede che non ce la faccio più.»
Il cameriere era tornato per le ordinazioni. Aveva strappato un foglietto, era sparito di nuovo. Poco dopo aveva portato una bottiglia.
«Stessa storia dell'anno scorso, immagino.»
«Peggio. Non riesco più a dargli un senso. Non ce la faccio.»
L'altra l'aveva fissata. «Stavolta che ha combinato.»
«Ma te l'ho scritto, lo sai cos'è successo.» Si era guardata intorno. «E poi... non so, non sono tranquilla.»
«Tranquilla?»
«Vorrei essere via, lontano. Correre, vorrei...»
L'altra aveva fatto un gesto impaziente.
«Senti. Ho paura, d'accordo?»
«Paura di che?!»
Qualche testa si era alzata.
«Per favore, parla piano.»
La sua amica aveva sventolato una mano. Aveva riempito il bicchiere, poi aveva riempito anche il suo.
«Per favore» l'aveva supplicata lei.
«D'accordo. Ma spiegati.»
«Senti, è come se fosse un altro. Un'altra persona.»
«È un altro, o ha un'altra?»
Lei aveva distolto lo sguardo.
«Va bene.» La sua amica aveva appoggiato il bicchiere. «E per la valigetta, come s'è giustificato?»
«Ha detto che erano per una festa.» Si era stretta tra le braccia. «Che era uno scherzo.»
«Se è così allora perché li teneva ancora? È strano.»
«Certo che è strano, pensi che l'abbia bevuta?»
«E tu, invece?»
Lei si era avvicinata. «Io cosa?»
«Ti comporti bene?»
«Ma sei scema? Non ho fatto niente, che domande fai?!»
«Proprio quello intendo, il non far niente. Insomma... oh, lo sai cosa intendo, non farmelo dire.»
Lei l'aveva guardata scioccata.
«Sveglia, tesoro. Sono uomini. Lo sai come sono fatti, hanno i loro bisogni.»
«Non posso credere che lo stia dicendo.»
L'altra aveva sollevato le mani. «E va bene, lascia perdere.»
«Quanto ci mettono. Devo tornare in ufficio.»
«Per esempio» aveva ripreso l'amica, «noi sfruttiamo i weekend. Non ci sono i ragazzi, nel weekend è più facile e...»
«Giuro, ci rinuncio.»
«Cara mia» aveva detto l'altra, alzando la voce, «non fare la superiore con me. Sei tu che hai un problema, non io.»
Il cameriere aveva portato i piatti. Aveva chiesto se avevano bisogno di altro. La sua amica s'era messa a tagliare la verdura, senza guardarla aveva detto: «Cerco solo di aiutarti, non lo capisci?»
Lei era rimasta in silenzio e le cose avevano iniziato ad allontanarsi. La donna di fronte a lei, il tavolo. Il locale. Si rimpicciolivano, come in un binocolo al contrario.
«Rilassati» aveva detto l'altra, distante. La sua bocca si muoveva appena. «E dovresti curare il tuo aspetto, sai? Non esiste solo l'ufficio, non basta smettere di fumare.»
«Ascolta.» Teneva gli occhi chiusi, le palpebre le tremavano. «C'erano dei preservativi nella sua valigetta, ti è chiaro?»
«Ma sì, si sarà fatto una sega e non voleva sporcare.» Aveva riso forte, poi, notando la sua espressione, si era affrettata a dire: «Scusami. Lo so, è terribile. È un vero porco e... ehi, tutto bene?»
Lei aveva sbattuto le posate e si era alzata.

KintsugiWhere stories live. Discover now