Christopher. Inaspettate complicazioni

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Mercoldì 27 giugno

«Signor Roberts, signor Roberts, per favore, la prego, aspetti. Devo dirle ancora un paio di cose...»

Sbuffai come un treno a vapore e non rallentai il passo neanche per un istante. Se Alfred aveva decido di mettermi sotto le grinfie questa dannata segretaria di produzione non era affare che mi riguardasse. Lei, Marguerite, continuava a sgambettare sui suoi trampoli allucinanti nel vano tentativo di starmi dietro.

«Signor Roberts...»

Sì. Era ancora dietro di me. Non avevo dubbi. Mi bloccai di botto e lei mi cadde tra le braccia. Arruffata, si sistemò la montatura degli occhiali, rossa come un papavero in fiore.

«Signor Roberts» balbettò in un soffio per l'ennesima volta.

Quante volte avrei dovuto ripetere la stessa cosa? Se voleva collaborare con me doveva imparare a chiamarmi per nome e a darmi del tu.

«Christopher, mi chiamo Christopher» ripetei per l'ennesima volta. Affondai gli occhi nei suoi ormai enormi e scandii bene le parole con il volto a un centimetro dal suo. Non la toccai. Non era necessario farlo. «Christopher. Non è difficile. Prova a dirlo» sorrisi, solo un mezzo sorriso e ripetei: «Chri-sto-pher! Ce la puoi fare, prova.»

Con gli occhi sempre più spalancati e il volto ormai color melanzana, usando quel poco di aria residua che le era rimasta nei polmoni, Marguerite balbettò un tiepido: «Christopher.» Sembrava in trance, quasi ipnotizzata, come se avesse fatto appello a tutto il suo coraggio per eseguire quel semplicissimo ordine, ma ce l'aveva fatta alla fine e questa era l'unica cosa che importava in fondo.   

Dovevo però essere sicuro che non dimenticasse questa piccola lezione.

«Se mi chiami ancora una volta per cognome sei licenziata» ribadii serio.
Dato che lei continuava a rimanere imbambolata a fissarmi chiesi: «Hai capito?» Lei annuì e tanto mi bastò. Mi voltai e ripresi la mia marcia verso l'ufficio di Alfred.

«Signor Roberts... »

Questa volta alzai gli occhi al cielo. Se preferiva le maniere forti l'avrei accontentata.

«Sei licenziata! Raccogli le tue cose e vattene.»

Non mi voltai indietro neanche per un istante. Non c'era più il rumore dei tacchi sul pavimento a seguirmi come un'ombra e il tonfo secco del suo blocco di appunti e cartelline caduto a terra parlava chiaro. Questa volta ero riuscita a paralizzarla sul serio. Bene.

Spalancai la porta dell'ufficio del produttore con la mia solita irruenza. Lui era al telefono, ma appena mi vide si affrettò a chiudere la conversazione e a lasciare la sua comoda poltrona per venirmi incontro.

«Christopher carissimo, proprio te volevo...»

«Non fare il leccaculo con me, lo sai che non funziona» lo bloccai.

«Non mi permetterei mai ….» sibillò sollevando le mani in aria in segno di resa. Un serpente rivestito da Armani, questo era. Niente di più, niente di meno. Necessario come un tumore maligno all'ultimo stadio. E la cosa peggiore era che avevo bisogno di lui.

«Perché nessuna delle mie indicazioni è stata eseguita fino ad ora?»

Non rispose. Prese tempo tornando a defilarsi dietro la sua mastodontica scrivania e chiese: «Che fine ha fatto Marguerite? Doveva essere lei a spiegarti che le tue richieste non erano in linea... »

«Licenziata!»

«Licenziata? Era la nostra migliore segretaria di produzione!» sbottò stringendo i denti. «Si può sapere perché diavolo l'hai licenziata?»

BondingsWhere stories live. Discover now