L'albero di Morfeo, capitolo 4

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C'era una volta una ragazza. La ragazza aveva tanti amici e amiche, ma ce n'era uno a cui teneva tantissimo. Ogni tanto si trovava con lui sotto un grande albero.
Dopo qualche anno, al ragazzo successe una cosa molto, molto brutta. La ragazza cercò di andarlo a vedere, ma non trovò il coraggio. Così chiese a un altro amico di accompagnarla. L'amico accettò, e andò con lei in ospedale per due settimane, fino a quando l'amico non si svegliò.
La ragazza li abbracciò entrambi e ringraziò il secondo ragazzo.
"Grazie" gli disse. "Lo sapevo: eri davvero una persona speciale"

Trovai questo bigliettino piegato e infilato dentro al dizionario di latino.
Lo osservai con calma, a casa.
Erano passati due giorni dalla data segnata sul biglietto. Quando era riuscita a nasconderlo?
Presi il cellulare e pensai di inviarle un messaggio, poi però la chiamai.
Uno squillo.
Due.
Tre.
-Pronto?
Per un momento non dissi niente.
-Sono io- dissi alla fine.
-So leggere- ribatté lei con una risata.-Hai trovato il biglietto?
-Già. E, ehm...
Mi fermai, non sapendo bene cosa dire.
-Sì?
-È stato un bel regalo. Anche se la sapevo già questa storia- Silenzio di tomba.- Ehi, ci sei?
-Sì...
Ancora silenzio.
-Ehm... ora dovrei tornare a studiare latino... ciao...
-Ti voglio bene.- Sembrò quasi che si fosse liberata di un gran peso. -Ciao.
La versione uscì un disastro. Ma io ero felice, e questo mi bastava.
Ora avevo un'amica. Un'amica vera, che mi voleva bene.
Anche quella sera, a cena, nulla mi impedì di sorridere.
-Va tutto bene?- chiese mia madre.
Annuii. I miei si scambiarono un'occhiata d'intesa.
-Allora, hai qualcosa di nuovo da raccontarci?
Scossi la testa: volevo tenere per me la gioia che provavo, quasi avessi paura che scappasse di colpo.
-Ragazze? -chiese mio padre.
Alzai lo sguardo dal piatto per fissarlo interdetto.
-No.- dissi serio.
Non fecero altre domande.

-Lo sai che i miei credono che sia innamorato?- raccontai quella sera sotto l'Albero.
Lei alzò gli occhi dal libro che stava leggendo, giusto per osservare un attimo le montagne lontane. -Serio?-chiese. -E chi sarebbe la sfortunata...?
Sbuffai. -Molto simpatica.
-No, davvero, chi sarebbe la tipa?
-Nessuno!- sbottai. -Lo credono loro, mica è vero, credo. E tu?
Lei però non stava ascoltando più di tanto, forse. Sembrava quasi che le importasse più il libro di me.
-Ehi, ma perché mi ignori?
Chiuse il libro di colpo, sempre senza guardarmi.
Si passò una mano sugli occhi.
-Ho litigato con la persona a cui volevo più bene al mondo e solo perché... perché... non... per colpa tua! È geloso, e me l'ha fatto capire chiaramente. Non gli va giù che da quando non siamo più a scuola insieme. Non gli piace che io veda altra gente sotto "il nostro Albero". Ha smesso di tornare qui.
-Veniva qui?- esclamai sbalordito.
-Certo- sospirò lei. - Ogni volta che te ne andavi tu. Passavamo ore insieme, o almeno sembravano tali.
Soppesai quelle parole.
-È insieme a lui che ho capito tante cose di questo posto
-Mi avevi detto che era venuto una volta o due!
-Mentivo.
-E perché scusa?
Scocciato, soprattutto del suo tono neutro, quasi indifferente, mi alzai in piedi.
I suoi occhi incontrarono i miei per la prima volta.
-Perché non sapevo se fidarmi di te, ecco perché.
Impietrito, la guardai alzarsi e abbracciarmi.
-Ascolta- sussurrò. -Io ti voglio bene, ci tengo a te.
Aveva la voce rotta, come se cercasse di non piangere.
-Ho già perso una persona, non voglio perdere anche te...
-Ma cosa vuoi che m'importasse? Perché non dirmi una cosa così sciocca?
-Perché semplicemente sapevo che l'avresti presa male.
-Ma... ma...
-Vedi? L'hai presa male. Adesso... mi dispiace di averti mentito. Ho solo paura di tutto. Puoi perdonarmi?
Rimasi senza parole. Che dovevo fare? Perdonare la sua insicurezza, la mancanza di fiducia in me? Gli istanti scorrevano senza pietà.
-Sì -sussurrai. Avevo bisogno di lei.

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