XXVII

2K 139 125
                                    

«Karla!»

Camila sbatte le palpebre più volte. Una luce diretta filtra da qualche parte, infastidendola e costringendola ad alzare una mano davanti al proprio viso per fare da schermo. Quando crede di essersi abituata all'invasione, apre lentamente gli occhi e si accorge di essere seduta sulla moquette della propria stanza.

Dev'essere mattina inoltrata a giudicare dall'arancione acceso dei raggi che superano le tapparelle della finestra.
Com'è finita sul pavimento?

Si guarda intorno, spaesata, e arriva alla conclusione di aver probabilmente perso l'equilibrio, come al suo solito.
Un senso di vuoto si impossessa del suo petto, adesso che è di nuovo pienamente cosciente. Non sa come descriverlo, ma è come se si fosse appena ridestata da una momentanea trance che l'ha trascinata a fondo nella propria mente, in pensieri troppo veloci per essere rincorsi e troppo astratti per essere afferrati.
Si porta una mano al petto, dove sente un acuto dolore diffondersi, per quanto banale possa sembrare, proprio dal cuore. Aggrotta la fronte, cercando di venire a capo dell'origine di quella emozione, ma arriva a migliaia di punti ciechi che la rendono ancora più perplessa, se possibile.

«Karla, diòs, vuoi scendere a darmi una mano?»

È la voce di nonna Mary a tuonare in distanza, dal piano di sotto, più precisamente. Dopo essersi fatta forza sulle braccia, Camila si rialza, ma il suo barcollare improvviso le fa realizzare di soffrire di capogiri momentanei. Dall'alto, nota il suo dado di quarzo sul pavimento e si china a raccoglierlo. Leggermente sporco di polvere, lo lucida con le dita affinché ritorni trasparente e se lo infila nella tasca dei pantaloncini.

Con un sospiro, la bruna si affretta ad uscire dalla propria stanzetta per scendere in cucina, dove la nonna la sta attendendo con un grembiule già legato ai fianchi e i fornelli accesi sotto una padella.
Doveva immaginare che avrebbe cominciato senza di lei, la sua testardaggine non è svanita neanche nella vecchiaia; non sa cosa sia la pazienza, quando si tratta di mansioni del genere.

«Nonna, mi stavo vestendo» si giustifica Camila, con tono leggermente cantilenante.

«Lo so, mija, ma queste croquetas non si friggeranno mica da sole» ribatte con stizza la nonna.
«Su su, prepara la mollica per la carne»

Camila si arrotola le maniche della maglietta e comincia a lavorare, mormorando il motivetto di qualche canzone che al momento non riesce neanche a riconoscere per passarsi il tempo. La sensazione opprimente al petto non è ancora sparita, ma si è attenuata, e Camila se lo fa bastare per non indagare oltre, a tal proposito.

«Dove hai imparato a farle?» domanda Camila, curiosa. Lo è sempre stata quando si tratta di aneddoti provenienti dalle origini della sua famiglia, le cui radici sono ben impiantate fra il Messico e Cuba. È un corredo che ha deciso di portare con sè per tutta la vita, andandone fiera.

«Me lo ha insegnato il mio papa» risponde, sorridendo con una tenerezza che raggiunge anche i suoi occhi, illuminandoli.
«Ormai hanno una storia diversa, per me. Mi ricordano un episodio divertente della mia vita»

Camila sorride di rimando, adesso ancor più curiosa.
«Di che si tratta?» la sprona, mentre mischia il formaggio alla mollica per preparare l'impanatura.

Nonna Mary sorride, osservando un punto indistinto del piano cucina prima di cominciare a raccontare.
«Era una mattina di tanti anni fa... Dovrebbero essere trenta, se la memoria non vuole giocarmi brutti scherzi proprio adesso. Io e tuo nonno stavamo per pranzare, e io avevo preparato dello spezzatino al sugo e le croquetas»

Camila vede il sorriso aprirsi sulle sue labbra per scoprire la sua dentatura ormai non tanto perfetta come nella giovinezza, e mancante di qualche pezzo. Le trasmette un senso di affetto, scoprire questo suo lato nostalgico.

Convergence ⇹Donde viven las historias. Descúbrelo ahora