Capitolo 23 - Fàrmakon

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Alyce raggiunse il parapetto di prua e vi si appoggiò con un sospiro, lasciando che avambracci e mani penzolassero nel vuoto.
Dopo un pomeriggio passato a festeggiare per la vittoria e a dividersi il bottino con il resto della ciurma, la notte era giunta di nuovo e con essa il dolore del Marchio dell'Ombra. Era riuscita a dormire giusto un paio d'ore, il tempo necessario per riprendersi un minimo dalla battaglia, prima che lo strazio la cacciasse fuori dall'amaca e la costringesse a trascinarsi verso il ponte, in cerca di sollievo. E adesso, sola e animata da una sorda malinconia, vagava con lo sguardo lungo un placido mare nero, mentre il firmamento, silenziosa sentinella, vegliava su di lei, alleviando in parte la sua sofferenza. C'era un qualcosa di terribilmente melanconico e nostalgico in quella piatta distesa di acque scure, illuminata da miriadi di stelle e da una luna piena, che vi si specchiava, vanitoso astro argenteo. Il vento, elemento costante di quell'arcipelago, era ormai ridotto a poco più di un sussurro, tanto flebile da non riuscire nemmeno a spostare i capelli della giovane, ora adagiati sulla sua schiena e sul suo volto, in disordinate ciocche ricce. In lontananza, l'assassina era in grado di scorgere le sagome delle isole, illuminate in più punti da gruppi di puntini rossi e arancioni di città, villaggi o piccoli raggruppamenti di casa, ora più che mai simili a remoti bracieri pulsanti di vita.

Rabbrividì quando i suoi occhi stanchi incrociarono le dita cineree della mano, che d'istinto ritrasse, come volesse celarla agli occhi rivelatori del cielo notturno. Ancora non si era abituata a quel loro mesto grigiore e alla strana sensazione evanescente che provava, ogni volta che le sfiorava o le usava per toccare qualcosa, e, sinceramente, credeva non vi si sarebbe mai abituata. Come diavolo faceva Storm a convivere con quell'orribile anatema con tanta noncuranza, comportandosi con eleganza, raffinatezza, quasi i suoi arti di cenere fossero per lei motivo di vanto e non di vergogna e dolore? Scosse la testa lentamente e sospirò di nuovo.
La sua mente, involontariamente, tornò ai suoi compagni, a quei giovani valorosi, che di certo, fossero stati ancora vivi, avrebbero fatto qualsiasi cosa per trovarle un antidoto, sebbene, ormai, non era più certa di meritarselo, non prima di aver fatto fuori Davis.
Dai suoi occhi umidi scese una lacrima fugace, alla quale la luna donò un rapido luccichio, prima che questa scivolasse lungo la guancia e sparisse oltre il bavero della camicia. Era strano ma, in compagnia di quegli astri silenziosi, si sentiva tremendamente sola. Sola, maledetta ed emarginata.

In quel momento, avvertì un calore inatteso sulla spalla, un tocco deciso, ma piacevole e l'assassina si voltò di scatto, sobbalzando. Storm era lì, a pochi centimetri da lei. Aveva legato i capelli in una coda alta, lasciando alcuni ciuffi ribelli, così sottili da risultare a mala pena visibili, ad arricciarsi sulla fronte candida. I suoi occhi, ora dalle sfumature cobalto, erano pozzi senza fondo di indecifrabili sensazioni, un azzurro abisso che l'attraeva, l'affascinava e la spaventava insieme. Era così vicina, che Alyce riuscì a notare con estrema chiarezza una grigia ragnatela che, partendo dalla guancia divorata dal Marchio, si inerpicava lungo il suo volto, simile alle crepe di una bambola di porcellana lasciata cadere in terra da una bambina distratta. Si domandò quanto tempo ancora ci sarebbe voluto, prima che anche il proprio volto venisse solcato da un simile sfregio. L'alchimia che aveva provato al suo fianco durante la battaglia si ridestò dal suo torpore, donandole una sensazione scomoda e piacevole insieme allo stomaco.

"C-capitano, perdonatemi...non vi avevo sentito arrivare." Mormorò la giovane, disorientata per essere stata sorpresa in un momento tanto intimo come quello.

"Non chiamatemi capitano, non adesso, almeno. Direi che possiamo lasciare le formalità alla luce del giorno, non trovate?" Esordì, con voce delicata.

"Sì...sì, hai ragione."

L'assassina rispose velocemente, piacevolmente sorpresa sia dal tono, che dalle parole dette. Storm sorrise, o meglio, sollevò gli angoli della bocca, senza scoprire i denti. Alyce restò per un attimo imbambolata. Era la prima volta che la vedeva sorridere e trovò vi fosse un qualcosa di incredibilmente tenero, quasi fanciullesco, in quell'attraente e dolce smorfia. Pareva improvvisamente più giovane di almeno dieci anni e Alyce si meravigliò nel constatare di non riuscire ad attribuirle un'età. In quel momento poteva avere quindici anni, come trenta.

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