4. Build up

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Genn si trattiene dallo sbuffare e scosta il blocco appunti posato sulle gambe. «Sei insopportabile.»

Quel cretino sorride beato.
È appena rientrato, non ha neanche tolto la giacca a vento bagnata di pioggia, nemmeno le scarpe, si è gettato sul divano per toccare il lieve gonfiore del suo ventre.
«Senti, capisco che tu sei la mamma, Gè, ma non puoi essere così geloso.»

Oddio, ancora con quel discorso.
«Non c'entra niente la gelosia. Sta dormendo, Alessio. Lascialo tranquillo.»
«Macchè dormendo...» Alex si protende con amore, alzandogli la maglietta, e questo non fa altro che infastidirlo ancora di più. «Non dormi, vero? Tu vuoi dire ciao a papà...»

«Non vuole dire ciao a nessuno, perchè sta dormendo!»

«Ciao, piccolino, ciao...» Ci posa tutto il palmo, i polpastrelli ticchettano uno alla volta, come se ci fosse l'impulso di una carezza che non sa bene come formulare. «Diventi grande, sì? sei più grande di ieri! sei velocissimo.»

«Sì, questo è vero,» ammette Genn controvoglia, ancora imbronciato, «l'ho notato anch'io.»
A dispetto di qualsiasi verità biologica, giurerebbero in tribunale che i progressi di sviluppo sono giornalieri.

Alex cinguetta, fa scorrere le dita sulla curva morbida dell'addome, avanti e indietro. «Non vuoi dare un calcetto per papà?»

«Lui non dà calcetti.» Genn si indigna. «Lui si sposta con grazia. È già beneducato, sai. Solo tu mentre dormi scalci come un somaro. E adesso basta, che prende freddo.»

È che non gli piace avere la pancia scoperta, lo mette a disagio, preferisce sommergerla di felpe, plaid, coperte. Alex gli lancia una rapida occhiata impaziente.
«Zitto, Gè, stai buono. Piccolino, piccolino?» Ha ancora quella voce remota, sognante.
«Stai diventando ripetitivo.»
«Che ne sai te, che dorme?»
Genn inarca le sopracciglia con sussiego. «Come faccio a spiegartelo. Senti, i bambini devono dormire molto, è importante, se non riposano poi sono prematuri, c'hanno le malformazioni, Alè, io ho letto gli opuscoli! Poi lo faccio uscire senza mani e non può suonare la chitarra, quindi ti prego.»

L'origine dei famigerati opuscoli sulle patologie prenatali che infestano la casa non è ben chiara, ma chiunque li abbia offerti alla portata di Genn aveva di certo intenti malevoli, visto che sono diventati il suo nuovo incubo preferito in cui trastullarsi.

«Gè.» Alex sorride, e solleva la testa verso di lui, ed è all'improvviso commosso, come capita non di rado. «Grazie. Io non so come ringraziarti.» E tiene il ventre con entrambe le mani, lo massaggia, e Genn sente che è la protezione perfetta, quella, con il piccolo al caldo e al sicuro.
«Se piagnucoli mi fai piangere.»
«Non è che io piagnucolo e tu piangi. Piagnucoli pure te.»
«Ecco, bel lavoro! Credo che tu l'abbia svegliato. Contento? Gli hai fatto aprire gli occhi, apre già gli occhi, Alè, ti rendi conto, la formazione delle palpebre è una fase molto delicata, il minimo scompenso può...»
«Buongiorno, piccolo! Adesso lo dài il calcetto, però!»

«Te lo do io un calcio, ti va?»










A Genn mancano certe cose e gli sembra che, da parte sua, Alex sia molto poco comprensivo. Se nei primi mesi è venuto incontro alle sue esigenze, entrando lentamente, con titubanza e discrezione -senza spingere davvero, strofinando appena la carne calda dentro di lui- quando la pancia ha cominciato a spuntare appena ha opposto un rifiuto lapidario.

Il corpo di Genn è diventato un ingranaggio divino, che bisogna lasciar creare in pace e svolgere il suo corso senza interferenze.

Lui sbuffa, brontola, si appoggia con il mento su di lui nel letto, gli mordicchia un orecchio. Alex, nonostante l'intensità del desiderio che gli viene dimostrato gli offuschi a tratti la mente -cosa può esistere di meglio di Genn che lo vuole e lo chiede e implora- si limita a toccarlo un po', dargli un bacio e rimboccargli le coperte con inguaribile virtù.

Genn comprende, non si lamenta troppo, ma ricorda con nostalgia i dopo concerti, il sentirsi indolenziti, il fasciarsi con le lenzuola e sospirare, la voce di Alex che si ottenebra.

Per distrarsi cerca di pensare alla sera in cui devono aver concepito il bambino, ma proprio non gli sovviene. Nessuna di quel periodo era diversa dalle altre. Erano tutte uguali... normali uguali, quando il miracolo era la norma.

Quella notte, qualsiasi fosse stata, loro avevano ignorato il loro primo figlio, avevano fatto l'amore come se non avessero lasciato niente indietro e proiettato nulla avanti, erano rimasti concentrati sulle proprie bocche e mani e capelli e non l'avevano sentito schiudere l'uscio della loro casa, prendere in prestito la loro unione per appropriarsi di un posto, varcare il confine di quel letto, di quella solitudine comunitaria. 

Ma il momento speciale di Alex, quello di cui nessun altro sa, è l'alba.
Quando si sveglia prima di tutti e vorrebbe essere un fotografo di quelli geniali, per immortalare l'istante in modo da imprimerci la stessa colla che fa attaccare le sue emozioni ora, quella spolverata di magia, ritrarre il momento incorrotto ed indeteriorabile, tenerla come prova per quando gli chiederanno perchè il mondo è bello -tutti gli orrori vengono inghiottiti dallo spiraglio delle labbra di Genn socchiuse nel sonno, un gomito puntellato sul cuscino con la testa rilassata sulla spalla, l'altro appoggiato al fianco, di modo che la mano finisca spontaneamente distesa sull'addome, adagiata nel riposo.

Alex carezza con la mano la base del ventre, per non disturbare Genn, per starsene tranquilli tra loro lui e il piccolo. A volte gli parla, a volte tace e cerca una comunione silenziosa, un flusso di emozioni incontaminate, una premonizione del futuro.
A volte lo vede già liceale, altre non riesce neppure a concepire che un giorno sarà davvero a gorgheggiare in una culla.

Poi Genn si sveglia e va in cucina a cercare il succo, e la pancia sporge così bene dalla camicia rossa a quadretti, che tira un po' il tessuto anche se è di Alex, e Alex non riesce a trattenersi, lo bacia, si prende la sua veglia e la ingoia, gli cinge la vita e preme il bambino contro il proprio stomaco. E Genn è di malumore, è stanco come se avesse camminato tutta la notte.

«L'ho sognato di nuovo, Alè. Niente mani. Sbaglierò tutto, e mi faranno anche il cesareo sbagliato, succede l'uno percento virgola quarantasette dei casi.»
«Vuoi succo e biscotti?»
«Solo succo.»
«Non credo proprio.»
«Non ha fame, Alex, lo saprei se volesse i biscotti.»
«I bambini hanno sempre fame. Mangiali tutti questi, a costo che nasca con una voglia a forma di oreo.»











Ok, manca solo l'ultima parte, spero che vi stia piacendo 💜

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