Capitolo 2

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Lauren aveva perfettamente ragione: se avessi provato a scappare, non avrei avuto la più pallida idea di dove andare e come muovermi. La casa era a due piani e quello superiore aveva così tante porte, che somigliava ad un labirinto. Quello che mi stupì, però, fu vedere che dietro ad una di quelle innumerevoli porte si nascondessero le scale che portavano al piano di sotto.
Scendemmo le scale, con Lauren che stringeva la mia mano in maniera protettiva. Fu quando entrammo in cucina che scoprì la presenza di altre persone. Erano nove: un bambino, due uomini e sei ragazze; di cui due bionde, una mora di colore e tre castane.

<<Camila!>>, urlò il piccolo bambino. Prima che me ne rendessi conto, era corso contro di me e adesso mi stringeva le gambe. Indietreggiai, presa alla sprovvista, ma recuperai subito l'equilibrio, evitando che cadessimo entrambi. Accarezzai confusa i suoi capelli castani, rendendomi conto che c'era qualcosa di familiare in lui. Gli sorrisi, perdendomi nei suoi occhioni castani.

<<Kevin! Smettila di infastidirla!>>, disse uno dei due uomini, alzandosi in piedi. Era alto, molto alto. Aveva i capelli di un castano molto chiaro, tendenti al biondo.

<<Scusa, papà>>, disse il piccoletto, guardando i severi occhi castani del padre. Ritornò a sedersi tra l'uomo ed una delle due bionde, che subito gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Dalla somiglianza che c'era, dedussi che era la madre.
I miei occhi passarono quindi a studiare gli altri. L'altro ragazzo era castano ed aveva un accenno di barba, che tuttavia mostrava che fosse ancora abbastanza giovane. Non riuscii a vedere i suoi occhi siccome, proprio come tutti gli altri, sembrava essere troppo impegnato a fissare il piatto che aveva davanti.
Le tre castane non avevano alcun segno particolare, ma notai che una di loro tre faceva fatica a tenere lo sguardo basso. Sembrava la più giovane di tutti loro, escluso il piccoletto che si chiamava Kevin.
L'altra bionda e la ragazza di colore avevano un qualcosa di estremamente familiare, che riuscii a riconoscere subito dopo. I suoi capelli mossi e ricci, tendenti al colore del miele, mi fecero capire subito che era il leone che mi seguiva fuori scuola. E ovviamente, non ci volle molto a capire che la ragazza al suo fianco fosse il lupo nero.
Guardai Lauren con la coda dell'occhio, come se volessi capire cosa aveva in mente. Perché mi permetteva di vederli tutti a viso scoperto? Perché sembrava essere così gentile? E perché diavolo mi aveva fatto seguire da quelle due?
Lei non sembrò rendersi conto del modo in cui la guardavo, oppure decise semplicemente di ignorarmi e, sfruttando la presa sulla mia mano, mi condusse verso il tavolo. Si sedette, lasciandomi capire che l'altra sedia vuota al suo fianco era riservato a me. Appena Lauren si mise a sedere, tutti loro iniziarono a mangiare. Quindi, se prima avevo qualche minimo dubbio, adesso sapevo perfettamente che Lauren aveva potere. Tanto potere.
Anche se completamente in imbarazzo, non potevo non notare il costante brontolio del mio stomaco, quindi mi affrettai a fare lo stesso. Il silenzio sembrava pesare sulle mie spalle, ma tuttavia, la pasta era così buona che non potetti pensare ad altro se non riempirmi lo stomaco.

<<Dobbiamo davvero restare in silenzio per tutto il tempo?>>, chiese il piccoletto. Quasi mi strozzai con quello che avevo in bocca, mentre tutti alzarono lo sguardo per fissarlo, Lauren compresa. Lui arrossì, in imbarazzo. Subito, il padre del bambino gli diede un colpetto dietro la testa, richiamandolo.

<<Kevin...>>, disse in tono di avvertimento.

<<No, va bene. In effetti, anche a me non piace tutto questo silenzio. Mi ha tolto le parole di bocca>>, dissi, facendogli un occhiolino. Non sapevo dove avessi trovato il coraggio di parlare, soprattutto in un'occasione simile ma era accaduto. Non mi andava sapere che sarebbe stato rimproverato, quindi avevo permesso al mio bisogno di aiutarlo di superare il mio buon senso.

<<Be', adesso stiamo mangiando. Dopo, sarà il momento delle chiacchiere>>, disse Lauren, guardando Kevin. Lui annuì, abbassando nuovamente lo sguardo.

<<Davvero?>>, mormorai. Lei si voltò a guardarmi, piegando la testa di lato come un cucciolo confuso. Non credo che avrei dovuto trovarla una cosa carina, vero?

<<Camila...>>, disse, usando lo stesso tono che poco prima l'uomo aveva usato con suo figlio. Perfetto, adesso ero anche una bambina che andava rimproverata.

<<Fottutamente perfetto>>, dissi a voce leggermente più alta. Lauren sospirò, poi fece cadere la forchetta nel piatto. Si voltò a guardarmi, rivolgendomi uno sguardo infuocato. Nessuno osò alzare lo sguardo dal proprio piatto, e l'unico suono che poteva essere udito era il battito del mio cuore. Perché io sapevo che loro potevano sentirlo.
Prima che me ne rendessi conto, Lauren era scattata in piedi e mi aveva obbligata a fare lo stesso, strattonandomi per il polso.
Le sue spalle erano tese e i muscoli della schiena erano completamente rigidi, come se stesse cercando di contenere una furia pronta ad esplodere da un momento all'altro. Cercai in tutti i modi di restare ferma, di renderle difficile il lavoro, ma lei mi portò fuori dalla cucina in poco tempo e con poco sforzo.

<<Mi dispiace, Lauren, okay?>>, chiesi, maledicendo il panico che c'era nella mia voce. Lei sembrava non voler sentire proprio ragioni, per cui decise di fingere che non esistessi. Fu quando impuntai i piedi a terra che si fermò, voltandosi di scatto verso di me. Mi fulminò con lo sguardo, ma poi mi ritrovai sulla sua spalla in questione di pochi secondi. Iniziai a prenderla a schiaffi e calci, cercando di convincerla in tutti i modi di mettermi giù. Lauren diede uno schiaffo sul mio sedere, facendomi emettere uno strillo acuto.

<<Mettimi giù!>>, dissi in quella che sembrava essere una richiesta ed un ordine, allo stesso tempo. Lei mi ignorò ancora una volta, quindi prese salire le scale che ci avrebbero riportate al piano di sopra.
"Adesso mi uccide, oppure mi porta in una stanza, mi tortura e poi mi uccide". Questi erano gli unici pensieri che mi passavano per la testa mentre lei saliva le scale, ritornando verso il labirinto di porte chiuse.

<<Non volevo dirlo!>>, esclamai, cercando di convincerla. <<Ti prometto che non lo farò più>>, continuai, implorando. Io che imploravo una sconosciuta...wow.
Proprio come se non esistessi e non stessi urlando diritta al suo orecchio, Lauren continuò a camminare lungo il corridoio. Il cuore mi batteva con violenza contro il petto, e temetti che Lauren potesse sentirlo contro la sua spalla. Chiusi gli occhi, sapendo che non potevo fare altro che sperare di ricevere una morte breve ed indolore. Perché, in passato, avevo detto che avrei voluto tutto ma non Shawn? Lui era mille volte meglio di...questo! Stavo per morire...Oddio stavo per morire.

<<Ti avevo detto che non mi piacciono le parolacce>>, disse. Per un attimo, sentii la stretta intorno alla mia schiena diminuire un tantino, quanto le bastava per aprire la porta e richiudersela alle spalle con un calcio. Dedussi che le luci avessero un sensore di movimento, siccome appena entrammo, esse si accesero subito. Quando Lauren, finalmente, mi rimise giù, mi resi conto di non essere in nessuna stanza della torture.
Era una normale stanza, quasi completamente simile a quella in cui mi ero svegliata poco prima. C'era persino un balcone con la terrazza, che immaginai fosse connesso a quello di altre stanze, compresa quella in cui mi ero svegliata io. L'unica cosa che differenziava questa stanza dalla precedente, erano i dipinti. Sulle pareti c'erano milioni di dipinti che, per quanto differenti, rappresentavano tutti la stessa cosa: una pantera ed una ragazza.
Lei non era mai stata dipinta di volto, infatti era di spalle nella maggioranza dell occasioni, oppure nascondeva il volto contro qualcosa. Come se fosse estremamente timida oppure avesse qualcosa da nascondere.
Un quadro che subito attirò la mia attenzione, ne fu uno che occupava quasi una parete intera. In questo dipinto, la pantera era distesa su un prato e la ragazza si rifugiava contro l'animale. Il suo corpo, così piccolo ed indifeso, entrava in netto contrasto con quello grande e possente dell'animale. Potevo notare che il corpo della pantera sembrava fare da scudo alla ragazza, come se la difendesse da ogni male (o semplicemente dallo sguardo curioso di chi guardava il dipinto), ed inoltre, era chiarissimo che il manto dell'animale stesse dando calore alla povera ragazza che aveva indosso una canottiera bianca.

<<Resterai qui per tutto il pomeriggio>>, disse Lauren, risvegliandomi dai miei pensieri. <<E non mangerai finché non lo deciderò io, chiaro?>>, mi disse. Io annuii, timorosa.

<<Bene....E perché no?>>, mormorò, avvicinandosi a me. Afferrò il mio mento con la mano, poi prese ad accarezzare il mio labbro inferiore con il pollice. <<Magari mi farai vedere se questa bocca sa fare altro oltre a dire parolacce>>.

My captorWhere stories live. Discover now