Capitolo 1

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Giorno n° 46

Mi chiamo James Morrison. Nell'ultimo compleanno che ricordo avevo 17 anni. Non mi ricordo più che giorno sia stato. Ma era stato bello, quel giorno. Faceva caldo, questo me lo ricordo. Sento delle risate. Si, c'erano delle risate intorno a me. Ma poi è tutto così sfuocato.

Avevo una mamma, si chiamava Sally. Mi piaceva tanto Sally. Mi ricordo il suo profumo, pesca e lamponi. Avevo anche un papà, ma non lo vedevo mai.

Non mi viene in mente il suo nome.

Oggi è il 46esimo giorno che sono qui. Lo so perché ho contato le stanghette sul muro che ho disegnato.

Mi piace scrivere. Mi ero dimenticato cosa si provasse a tenere la penna in mano e a sentire quel suono della penna sul foglio. Mi piace sentirlo.

Vedo davanti a me una ragazza, mi sorride. E' seduta su un banco. L'immagine svanisce subito.

Qualcuno ha bussato. Ma non voglio andare ad aprire. Non voglio fare la visita oggi. In nessun giorno ho mai voluto fare la visita.

Mi fa male la testa.

Sento una voce, ma sembra un eco come di quelli che senti in montagna. E' una donna.

Mi inizio a grattare dappertutto, ho la pelle d'oca.

Sto gridando. La mia voce è acuta e faccio fatica a scrivere mentre urlo. Perché sto urlando? Non lo so perché, ma non riesco a smettere. Forse ho paura, sì, ho paura di quei dottori. So che mi verranno a prendere presto. Non voglio.

Sento dei passi, vicino a me. Sempre più vicini. Non è una sola persona, sono tante insieme. Come sempre.

Mi parlano, ma io non sento. Urlo e basta. So che si stanno avvicinando al letto, so che mi prenderanno come le altre volte. Le visite non possono mai aspett

Dopo pranzo

Sono di nuovo sul letto. Prima non sono riuscito a finire di scrivere. Le visite non possono aspettare. Lo dicono sempre.

Oggi il pranzo erano due pomodori e un'oliva. Sono contento, non mi ricordavo il sapore aspro delle olive. Mi è piaciuto.

Odio quando la ciotola non arriva. Io ho fame, a quest'ora. Quando sento la porta che si apre un pochino per far entrare il pasto, scatto subito in piedi.

Ha fatto male. Ha fatto più male del solito oggi.

Sto ridendo.

Ma cosa dico? Fa sempre male, ogni volta.

Luci spente

E' difficile scrivere al buio, ma il mio compagno di letto vuole dormire. Lui è sempre gentile con me. Vorrei provare a parlarci. Ci provo, ma lui ogni volta mi dice: "Non sforzarti, va bene così."

Una volta l'ho visto piangere. Mi ha detto che gli mancava la sua famiglia, la sua ragazza. Non ho detto nulla, lo guardavo e basta. Poi ha detto altre cose, ma non riuscivo a sentire niente, mi guardavo le mani perché tremavano più del solito .Lui mi ha lanciato la sua ciotola, urlandomi che non capivo nulla.

Ricordo ancora la scheggia di ceramica della ciotola che si era conficcata nella mia guancia. Bruciava da morire.

Non capisco nulla. Lo vedo da come reagiscono le poche persone che vedo.

Credo che questa sia comunque una bella notte. E' uno di quei giorni lucidi. Io ho i miei giorni lucidi e i miei giorni no.

Nei giorni no probabilmente non riuscirò nemmeno a scrivere. Pazienza.

 Giorno n° 47


Prima di pranzo

Oggi fa freddo, la nostra unica finestra è aperta e c'è tanto vento. Vorrei chiuderla ma sono troppo basso e non ci arrivo.

Vorrei chiedere al mio compagno di stanza, lui sì che è veramente alto. Ma è da quando si è alzato che non lo vedo.

Ho fame. Spero che mi diano la ciotola, oggi. E spero anche di uscire dalla stanza, a volte mi portano per i corridoi per camminare un po', con le catene ai polsi. Le odio, a volte cerco di liberarmi, non voglio scappare, voglio solo poter andare un po' più lontano. Ma loro si spaventano e mi buttano a terra.

La porta scricchiola. La visita. Non voglio urlare stavolta, trattengo tutto dentro.

Inizio a tremare. Perché tremo, io non ho così freddo.

Faccio fatica a scrivere.

Voglio fermarmi. Voglio smetterla, voglio stare bene.

Voglio uscire.

Dopo pranzo

Non mi hanno dato la ciotola dopo la visita. Eppure mi sembrava di essere stato bravo oggi.

Quando mi hanno collegato alla macchina non ho urlato, tremavo solo. Almeno questo è quello che riesco a ricordare.

Mi ricordo del solito lettino, mi sdraio e un dottore mi guarda. Mi sorride, mentre mi lega al lettino.

Ha un bel sorriso, quel dottore. Così bello che ogni volta ci caschi, ti sdrai sul lettino, e poi inizia a farti male.

Oggi scosse elettriche. La testa fa male. Tremo ancora un po', ma mi sento meglio.

Mentre ero sul lettino e mi davano le scosse elettriche, sentivo pungermi tutto il corpo. Siringhe. Tante siringhe. E tanti uomini che mi guardavano. Lo odio. Odio quando mi fissano. Poi come sempre mi fanno alzare, mi mettono le manette e mi riportano in stanza.

Molto spesso non riesco nemmeno a camminare dopo la visita. Barcollo un po'. Mi ricordo di essere caduto. Poi buio.

Quando mi sono svegliato, ero già sul mio letto.

Ho fame.

Vedo in lontananza una figura. Mi guarda.

Chissà chi sarà oggi. Se l'uomo con la pipa, la bambina con i capelli lunghi, il ragazzo dagli occhi bianchi.

Li vedo sempre, ogni giorno. Mi stanno accanto da prima che io entrai qui. Molto prima.

Le ho nascoste molto bene, per un po'. Ma poi l'hanno scoperto e da lì è iniziato tutto questo.

So che non è reale. So che è la mia testa. Ma quella figura si avvicina, mi sta guardando, ecco, è l'uomo con la pipa. Non dice nulla, forse stavolta se ne andrà e basta.

Sto continuando a scrivere proprio per non guardarlo. Ma mi fissa.

Ora sta urlando. Ho una mano su un orecchio, con l'altra scrivo.

"SVEGLIATI! HO DETTO DI SVEGLIARTI RAZZA DI IDIOTA!"

Vattene via. Vattene via. Vattene via.

"SVEGLIATI! LA MAMMA STA MORENDO! STA MORENDO!"

Accidenti. Sto bagnando il foglio. Sono lacrime? Si, lo sono. Ma mi viene lo stesso da sorridere.

Sono proprio pazzo.

PazziaWhere stories live. Discover now