Capitolo 2

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2. I promise you the happiness

Alexander Avevo fallito, cazzo

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Alexander
Avevo fallito, cazzo. Non l'avevo protetta, non ero riuscito a liberarla da quel bastardo, l'avevo lasciata sola. Che razza di uomo ero? Un uomo di merda, ecco.

Si era fatta del male, aveva rovinato le sue bellissime braccia per colpa di un figlio di puttana. L'avrei trovato e l'avrei ucciso, senza nessuna esitazione.

In quelle maledette 48 ore non avevo fatto altro che girare come un forsennato per la città, nella speranza di vederla sbucare da un momento all'altro. Avevo girato a vuoto, era stato tutto inutile, come tutto ciò che facevo.

Mia madre se n'era andata per colpa mia e in quel momento stavo rischiando di perdere anche l'unica persona che era riuscita a restituirmi il sorriso. Perdevo tutto e tutti, spesso mi chiedevo se fossi io il vero problema.
Il pensiero di vivere una vita senza lei mi aveva lacerato il cuore e avevo rischiato di cadere nello stesso circolo vizioso in cui ero caduto dopo la morte di mia madre.

La cosa più incredibile fu che era stato proprio mio padre ad impedire che mi lasciassi andare e che rovinassi tutto per l'ennesima volta. In quei giorni mi era stato molto vicino ed apprezzai veramente questo suo comportamento. Ovviamente non avevo dimenticato quanto fosse stato stronzo e quanto male mi avesse fatto, ma non potei negare quanto mi avesse fatto piacere averlo finalmente al mio fianco.

Mi aveva detto di stare tranquillo, che qualunque fosse stata la mia decisione lui mi avrebbe appoggiato perché mi capiva.

"Non ho potuto fare niente per salvare la mamma, ma sta certo che non lascerò che tu perda la persona che ti rende felice."
E lì non ce l'avevo fatto più, lo avevo abbracciato e lo avevo ringraziato per il suo appoggio. Avevo finalmente riavuto indietro una parte di mio padre. =eccato che fosse accaduto in un momento di merda.

Avevo paura che mi avrebbe abbandonato, che quando si sarebbe svegliata non mi avrebbe più voluto al suo fianco perché ero un fallito. Di certo io avrei fatto di tutto per non perderla.
Se lei mi avesse detto di andarmene via e lasciarla da sola perché l'avevo delusa, se lei avesse cominciato ad odiarmi perché io ero divento troppo pesante a asfissiante, io non mi sarei fatto da parte.

"Smetterò di comportarmi da bambino ogni volta, da questo momento in poi diventerò l'uomo di cui lei ha bisogno: non la ignorerò quando litigheremo, bensì la affronterò e mi prenderò tutte le mie responsabilità."
Il pensiero che mi aveva tormentato nel corso di quei giorni aveva fatto sì che qualcosa cambiasse in me. Pensavo esclusivamente ad una cosa: era tutta colpa mia.

"So che ora ti stai incolpando come un coglione (scusa, ma non riesco a non offenderti), ma non devi farlo"
Era riuscita a predire addirittura che mi sarei sentito in colpa perché era la pura e semplice verità. Era tutta colpa mia perché se non avessimo litigato, a causa del mio non essere abbastanza uomo, probabilmente lei si sarebbe confidata con me e insieme avremmo trovato una soluzione. Invece, si era trovata ad affrontare quella situazione da solo perché al suo fianco non c'era una persona degna di lei, ma un mocciosetto che alla prima difficoltà prendeva la strada più semplice. Era tutta colpa mia perché, semplicemente, io non ero degno di stare al suo fianco.

«Ce la farà, sta tranquilla» Mason stava cercando di tranquillizzare Tania. Impresa a dir poco impossibile dato che la rossa non faceva altro che piangere.
«Non si meritava una cosa del genere» tirò su col naso la ragazza che teneva poggiata la testa sulla spalla di Mason.
Già, non si meritava una cosa del genere, ma la vita fa schifo e spesso rovina tutto ciò che vi è di più bello al mondo.

"Mi ero illusa di poter scappare dal passato e di poter vivere una vita felice perché sì, io ero arrivata a un punto della mia vita in cui ero veramente felice e tutto grazie a te"
Era riuscita a trovare un po' di felicità. Felicità che le era stata, ingiustamente, strappata via per l'ennesima volta. Chissà quando avrei rivisto un sorriso spontaneo che le illuminava il viso e che faceva brillare ancora di più quei meravigliosi occhi verdi di cui mi ero innamorato. Chissà quanto avrei risentito la sua risata che riusciva a coinvolgere tutte le persone che la circondavano perché, fin quando ci fosse stato lei in giro, nessuno avrebbe potuto essere triste.

Tornammo in silenzio perché era l'unica cosa che potessimo fare. Fin quando lei non si fosse svegliata, nessuno di noi sarebbe riuscito a dormire sogni tranquilli.
In quel momento, in quell'orribile ospedale c'eravamo io, Mason, Tania, Matt, Mia e Jackson. Cami era stata costretta ad andare via perché stava per avere un attacco di panico e non potevamo permettere che accadesse qualcosa anche a lei. Eravamo già abbastanza preoccupati per Katy e tutta la nostra rabbia, o almeno la mia, era rivolta a quel bastardo che le aveva fatto del male.

Nessuno di noi osava commentare ciò che stava accadendo perché, semplicemente non c'erano parole per spiegare una situazione così assurda. Provai a rilassarmi e a pensare che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Eppure, ogni volta che chiudevo gli occhi l'unica cosa che riuscivo a vedere erano quelle fasciature così grandi per due polsi così piccoli.

«Tutto questo è ridicolo» si alzò di scatto Mia, con fare furioso. «Siamo seduti qui, come degli idioti, mentre la nostra amica è in un letto di ospedale priva di forze» urlò. Il suo tono di voce mi costrinse a stringere gli occhi per il fastidio.
«E cosa proponi di fare, sentiamo» chiese Matt, divertito dall'atteggiamento della bionda.
«Dobbiamo trovare quel figlio di puttana» incrociò decisa le braccia al petto.
«E come...» Tania non riuscì a completare la frase perché venne interrotta dal padre di Katy.

«È sveglia» tornai a respirare normalmente.

Senza aspettare nessun permesso, senza bisogno di ascoltare nemmeno una parola in più, mi precipitai in quella stanza d'ospedale dove si trovava tutto ciò di cui avevo bisogno. Il mio entusiasmo si frenò quando la vidi armeggiare con i fili dei lavaggi che aveva attaccato al braccio.

«Ferma, ferma, ferma» la frenai prima che potesse combinare qualche danno.
«Odio questi cosi, voglio andare via»

Era stata rapita, aveva subito chissà quale trauma, si era autolesionata e si era appena svegliata dopo aver perso i sensi. Tutto ciò non era bastato a farle perdere il suo temperamento, quello di cui mi ero innamorato. «Sei incredibile» non riuscii a trattenere un sorriso.

«Che cazzo ridi, aiutami a togliere questi aggeggi fastidiosi» mi guardò corrucciata e la trovai adorabile.
«Quanto mi sei mancata» Le bloccai la mano e presi ad accarezzarla lentamente, con il timore di poterle fare male. Aveva avuto parecchi punti, a causa della ferita che si era procurata.

«E vedo che in questi due giorni hai dimenticato come baciare la tua ragazza» mi guardò con un sorriso furbo.

«Non dovresti essere tipo traumatizzata o cose del genere?» non potei evitare la domanda. Sapevo che stava fingendo, sapevo che stava facendo di tutto per reprimere il dolore, ma cercai di farle capire che me non doveva nascondersi.

«Ci vuole molto di più per abbattere Katherine Stewart» parlò con voce decisa, ma il suo sguardo era vuoto.
«Parla con me» le toccai il punto in cui vi era la stoffa bianca. Lei subito ritrasse il braccio, come se il mio tocco l'avesse scottata.
«Non ho niente da dire» mi guardò truce.

«Ma...»
«Voglio solo godermi questi attimi di tranquillità, ti prego» poggiò la sua fronte alla mia e io sospirai. «Abbiamo tutto il tempo per essere tristi»

«Ti prometto che da oggi in poi vivrai solo cose felici» le diedi un bacio sulla fronte. «Ti prometto la felicità» Presi possesso delle sue labbra, suggellando una promessa che non avevo intenzione di infrangere.
Non mi sarei arreso, non quella volta, non con lei.

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