CAPITOLO VENTUNO

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La primavera del 1965 per Betti trascorse tra scuola, adesso la frequentava solo la mattina, pomeriggi passati tra i compiti e nel giardino di Chiara o nel cortile. Sandro arrivava con la sua moto Guzzi, oppure era lei che lo raggiungeva al piccolo giardino del Ponte del Pino, per starsene un po' da soli seduti su una panchina. Sembrava che tutto procedesse nel migliore dei modi, ma in realtà per Betti non era così. Il senso dell'abbandono era forte in lei; prima di questa era stata affidata ad altre due famiglie, che l'avevano rimandata all'orfanotrofio degli Innocenti di Firenze, poi nella bella villa della "Tata Bianca". 

Tutto questo le aveva procurato dei grossi problemi ad amare, perché la paura di essere rifiutata, abbandonata un'altra volta era sempre molto forte in lei.

Adesso c'era Sandro con la sua allegria che le faceva conoscere le canzoni francesi, le cantine avvolte dal fumo delle sigarette, dove i ragazzi parlavano di politica e le ragazze di uguaglianza tra uomo e donna, di emancipazione femminile. Così cominciò a percepire i suoi genitori in modo diverso; non accettava più la loro vita, ma dentro se stessa, cominciò a metterla in discussione. Da grande non avrebbe mai fatto come sua madre che secondo lei,  subiva in silenzio la condotta del marito e non avrebbe mai sposato un uomo come suo padre, che aveva due famiglie.  Non frequentava più la Chiesa, si era allontanata dalla religione cattolica. Pensava di voler scoprire chi fossero i suoi genitori naturali, ma non sapeva come fare e non capiva se era quello che desiderava veramente.

Sempre in quella primavera, alcuni fine settimana li passò a Milano con suo padre a vedere l'Inter. Era un momento d'oro per la squadra che vinse anche la Coppa dei Campioni, così ritornava anche a casa di zia Elisabetta. Adorava il profumo delle michette calde, che la donna andava a comprare dal "prestinè"(panettiere) sotto casa, con le quali preparava dei panini con il salame da mangiare allo stadio, mentre aspettavano l'inizio della partita. 

"Che ci sarà di bello nel vedere degli uomini correre in mutande dietro a un pallone?"

"Zia- rispondeva ridendo Betti- sono pantaloncini, no mutande "

Un caldo giorno di giugno Lina era sola in casa, quando squillò il telefono .

"Ciao Lina - era la moglie di Spadaro - Odoardo se n'è andato stanotte nel sonno."

Lina entrò in camera della figlia, prese il disco " La porti un bacione a Firenze",  ponendolo sul giradischi. Si sedette sul letto e mormorò: "Addio amico mio, mi mancherà tanto la tua amicizia." Le saltai sulle gambe facendo le fusa .

Al funerale andarono anche Betti ed Elia. All'uscita della chiesa i posteggiatori di Firenze e i fiaccherai cantarono "La porti un bacione a Firenze".

FLASHBACK

Tino Scotti invitò, alla prima del suo film a Roma, Lina ed Elia. Si sentiva al settimo cielo, perché lui col suo personaggio del cavaliere, ne era il protagonista. Aveva prenotato per loro un albergo in Via Veneto. Si ritrovarono la sera a cena in un ristorante a Trastevere-

"Le dovrò chiedere l'autografo?" gli chiese sorridendo Lina.

"Ci mancherebbe altro! Lo sa che se non lo avesse fatto il qui presente bauscia Elia, le avrei chiesto io di sposarmi, lei è  una donna meravigliosa."

La sera dopo andarono alla prima, alla quale erano presenti attrici e attori che Lina aveva visto solo al cinema. Conobbe il regista Mario Monicelli, Marcello Marchesi. A un tratto nella sala cadde il silenzio. Era entrata lei, la diva: Silvana Pampanini, elegantissima in un lungo vestito nero, pettinata con i  capelli raccolti in un alto chignon . Lina pensò che fosse una dea scesa dall'Olimpo da quanto era bella. L'attrice sorridendo andò a sedersi accanto a Tino. Si abbassarono le luci e iniziò la proiezione del film.

"Vorrei adottare una bambina, tu che ne pensi?"

Il marito che stava guidando verso Firenze le rispose:'Stavo pensando la stessa cosa. Vorrei che fosse ebrea, anche in parte, se a te non dispiace." Il giorno prima erano andati a visitare il ghetto ebraico, l'uomo davanti a un portone chiuso, si inginocchiò piangendo, in quel momento sentiva l'odio entrargli nell'animo e questo non gli piaceva. Se non si fosse battezzato, se i suoi genitori  gli avessero fatto fare la circoncisione, se non fosse andato a Milano rimanendo a vivere nel ghetto sarebbe stato deportato anche lui. Tutti quei se si trasformarono in un senso di colpa insopportabile. Lina si inginocchiò  accanto a lui in silenzio.

I gatti di BettiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora