Una cena speciale

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«Joanna, non ti dirò niente, la pianti di farmi domande?»

La donna sogghignò, fissando la ragazza che, con la divisa del locale, si versava una tazza di caffè. L'orario di chiusura era passato e avevano cacciato tutti i clienti, riuscendo finalmente a mettere il cartello "chiuso" sulla porta.

«Scopro che vai a teatro, con un uomo, e io non devo fare il diavolo a quattro?» La donna puntò l'indice verso l'altra, si vedeva chiaramente che si stava divertendo. «Forza, Kaira! Vuota il sacco!»

Kier si prese la testa tra le mani, maledicendo Shiry. La donna l'aveva riportato al locale dopo quella giornata che sembrava uscita direttamente da un girone infernale. Era stato trascinato per negozi, estetisti e ogni diavoleria immaginabile che la mora riteneva indispensabile. Alla fine aveva insistito per portarla a casa, storcendo il naso quando aveva scoperto che viveva in una stanza sopra il locale. Si era pure sentito dire che non era poi un bastardo quanto sembrava, visto che rimaneva lì per aiutare Joanna.

Lui non aveva mai detto di essere stronzo a prescindere, ma dava quell'idea, pareva. Joanna, però, l'aveva aiutato senza fare domande e si sentiva in debito nei suoi confronti. Sapeva che era nei guai con la banca, stare lì attirava i clienti e non era una cosa complicata. Quando era libero e aveva voglia, o quando la donna sapeva era un orario interessante, si metteva la divisa, stava dietro il banco, si faceva i fatti suoi e poi le dava una mano a chiudere. Se serviva mandava fuori gli idioti, il come lo decideva lui, e in cambio aveva una casa.
Il problema era sorto dall'immediata simpatia che avevano provato le due donne l'una per l'altra. Si era trovato in mezzo a loro, fissando Shiry che stava riuscendo a dire tutto della storia del teatro, senza in realtà dire nulla. Farcendo il racconto con enorme entusiasmo, tra l'altro.
«Ma se ti ha detto tutto Shiry. Vado a teatro con il suo capo, punto. Gli sto simpatica, che ci devo fare?»

«E come lo hai conosciuto? È bello? Che tipo è? Come si chiama?»

«Cristo, Jo! Sei peggio di un interrogatorio alla centrale! Mettiti l'anima in pace, non te lo dirò!»

La donna sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Come si chiama e una descrizione, almeno? Dai, non posso mica lasciare che esci con il primo sconosciuto...»

Kier l'interruppe, seccato. «E chi cazzo sei, mia madre?»

«Potrei esserlo, quindi vuota il sacco.»

Fissandola per un lungo istante, capitolò. «Non mi chiederai altro e la chiudiamo qua, vero?» 

Joanna annuì e Kier sbuffò. «Si chiama Mathias, ha meno di trent'anni. Alto, capelli neri. Contenta?»

«Occhi?»

«Due.» Sibilò, alzandosi e andando al ripostiglio delle scope, da cui emerse mettendo in mano alla donna un secchio. «Puliamo che ne ho le palle piene, voglio andare a dormire.»

La donna si arrese, decisamente Kaira era strana. Usciva con un riccone e sembrava la cosa le desse solo fastidio. Qualunque altra ragazza avrebbe fatto il diavolo a quattro, sarebbe per lo meno stata agitata, lei no. Sembrava la peggiore rottura della sua vita a guardarla in faccia. Accantonò il pensiero, avrebbe trovato il modo di scoprire chi era quest'uomo misterioso.


***


La dottoressa Swintoon strinse tra le dita il telefono, aveva ricevuto un messaggio da parte di Kier: entro la fine di quella giornata si sarebbe presentato alla clinica. Appoggiò le braccia sul lettino delle visite lasciandosi andare a un lungo sospiro tremulo. Vedere Valery, il suo corpo, e sentire parlare una persona completamente diversa attraverso di lei era sempre difficile. Le sembrava ancora viva, poi Kier si muoveva, parlava, la guardava e l'illusione svaniva. Valery era morta, eppure c'erano quei brevi istanti in cui Kier era assorto e ai suoi occhi ogni diversità scompariva e, per un solo, breve, istante, riaveva sua figlia.
Sentì le lacrime pungerle gli occhi e il respiro diventare difficile. Si sentiva soffocare.
Con mano tremante allungò la mano nella tasca del camice bianco, cercando quel piccolo barattolo di plastica arancione, quel calmante che era diventata la sua ancora in quei mesi. Riuscì a stapparlo, guardando quelle pastiglie tonde e prendendone poi una, ingoiandola in un gesto ormai così abituale da essere privo di qualunque attenzione. Rimise il flacone nella tasca e prese un lungo, tremulo respiro, si asciugò gli occhi e indossò di nuovo la sua maschera di efficienza distaccata e perfetta.

Demone RossoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora