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Mi accorsi dello sguardo di Timothèe su di me prima di andare a dormire. Non ci eravamo parlati per tutta la sera; ogni tanto, però, ci scambiavamo qualche occhiata. Quando accadeva, uno dei due abbassava lo sguardo, sorridendo per l'imbarazzo.
Mi stavo lavando i denti quando lo vidi appoggiato allo stipite della porta della camera che condivideva con sua sorella Dorothèe. Mi sorrise ed io feci lo stesso, dirigendomi verso la mia stanza, che si trovava di fronte alla sua. Prima di entrare, però, lo guardai ancora una volta. «Ti va di andare in skate?» gli chiesi. Non mi rimangerei nemmeno una parola. Il ragazzo mi guardò, «Alle undici di sera?» ridacchiò. Annuii.
«Okay» fece lui, «Portami da qualche parte»
«Dove ti piacerebbe andare?»
Scrollò le spalle, «Sei tu che conosci il posto»
Restammo a guardarci per un po', senza dire niente. Poi, capendo che stesse passando troppo tempo, entrai nel buio della mia camera, e ne uscii dopo un po con lo skateboard che mio padre e Moe mi avevano regalato due anni prima.

Moe sarebbe rimasta sveglia a lungo quella notte, per vedere gli Oscar. Stava guardando la televisione in camera sua quando io e Timothèe scendemmo per le scale in punta di piedi. Uscimmo dal retro. Per fortuna Chester dormiva in casa, quindi non rischiammo di essere scoperti. Corremmo fino al paese, totalmente al buio. «È sempre così di sera, qua?» mi chiese Timothèe. «Sì» dissi, «D'inverno questa è una città fantasma. Ed io mi sento morta quanto lei.» Il vento agitava i capelli neri del ragazzo, che guardava inerme il buio attorno a lui. Per un attimo provai una stretta allo stomaco. Avrei voluto abbracciarlo, perché per la prima volta, dopo tanto tempo, sentivo qualcosa dentro di me. E non era influenza.
Attraversammo lentamente il paese, arrivando in poco tempo all'immensa distesa vuota. La neve cominciava a sciogliersi, e restavano solo macchie bianche qua e là. E fu a quel punto che Timothèe mi guardò di nuovo. Sinceramente e audacemente mi sussurrò: «Ho voglia di correre», e lo fece senza pensarci due volte. Io rimasi ferma, guardandolo allontanarsi. Ero là, ferma in mezzo alla strada, senza uno zaino, solo con una giacca beige, le mani abbandonate lungo i fianchi e lo skate in mano. E quando il vento tornò a colpirmi il viso, capii di essere viva. E come se fossi stata svegliata da una scossa improvvisa, cominciai a correre anche io.

Ci fermammo esausti sotto un abete, in mezzo al nulla. Davanti a noi la stessa montagna che vedevo dalla mia camera, poi nient'altro. Solo una distesa vuota; niente case, niente negozi. Niente di niente. E, accanto a me, Timothèe stava respirando a bocca aperta, cercando di riprendere fiato. Per un attimo mi domandai se tutto ciò fosse vero. Ero da sola, di notte, con un ragazzo che conoscevo da tre giorni. E mi sentivo tranquilla dopo tanto tempo.
«Tutto bene?» mi chiese. Risposi di sì, «Mai stata meglio»
«Sai che io non so quasi niente di te?» continuò la conversazione. Sorrisi, guardando in basso, «Non ho molto da raccontarti» risposi, sinceramente.
«Hai mai avuto un ragazzo?» mi aspettavo quella domanda.
«No» risposi, «Ma ho avuto una ragazza»
«Oh» sembrava stupito, «Ti... ti piacciono le ragazze?»
Feci spallucce, «Quella ragazza mi piaceva»
«Quindi non ti piacciono i ragazzi?»
«Non lo so. Non ho molti criteri di paragone»
«Ho una voglia matta di baciarti. Ma ho paura che non possa piacerti»
«Tu prova.»
«Dici sul serio?»
Annuii.
Si avvicinò piano, tenendo una mano sotto il mio mento, e mi baciò. Lo fece sul serio. Senza ripensamenti. Poi ricambiai anche io. Mi piaceva baciare Timothèe. Toccargli i capelli, le guance, la schiena. E sentire la sua mano vicino al mio cuore. Sentivo un peso leggero sul petto che mi ricordava fossi viva. E in momenti come quello mi piaceva esserlo.

La prima ragazza che baciai si chiamava Willow. Era inglese, ed era in vacanza con la famiglia. Avevamo entrambe quattordici anni. Mi disse che le piacevo tre settimane prima che partisse e se ne tornasse a Liverpool. Le chiesi se fosse vero. «Sì. Non credo mi sia mai successo. So che siamo piccole per capire lamore e tutte quelle stronzate, ma tu mi piaci, Nora»
Diceva un sacco di parolacce, è vero, ma anche a me Willow piaceva. Così ci baciammo. Passai le tre settimane più belle della mia vita. Quando se ne andò ebbi paura che si sarebbe dimenticata di salutarmi. Stava per montare in macchina quando corse verso di me e mi baciò, davanti a tutti: alla mia e alla sua famiglia. «Sei stata il mio primo amore, Nora» mi sussurrò. Poi salì in macchina e si allontanò. Restai a guardare la macchina sparire tra le stradine di montagna del mio paese finché papà non mi chiamò dentro. L'estate che stava per andarsene si era portata via anche Willow. Ma non riuscivo ad arrabbiarmi, talmente ero felice.

Mi ero addormentata sulla spalla di Timothèe. Ci svegliammo quando il sole cominciò a sorgere. Gli chiesi che ore fossero. «Probabilmente le cinque del mattino. Torniamo indietro?»
«Okay» dissi, alzandomi e aiutandolo a fare lo stesso. Camminammo per un bel tratto senza parlarci. Ad un tratto, però, il ragazzo si fermò. «Che cè?» gli domandai.
«Credo di essermi innamorato di te, stanotte. Ti guardavo dormire e pensavo a quanto fossi bella e, nonostante mi facesse male la spalla, non ti ho voluto spostare perché non volevo svegliarti. Ho capito che ti amavo quando non potevi accorgertene.» Restammo in silenzio entrambi. Io perché ero felice di aver sentito quelle parole, lui perché si aspettava io rispondessi. Ma non lo feci. Quindi mi girai e continuai a camminare, sorridendo. Ma lui non poteva vedermi. Era rimasto immobile nel punto in cui lavevo lasciato.
«Non vieni?» gli chiesi.
«Io non ti piaccio, vero?»
«Sì che mi piaci»
«E allora perché non me lo dici?»
«Te l'ho appena detto»
«Dillo ancora.»
«Mi piaci, Timothèe»
Sorrise, poi mi raggiunse.

In realtà, quella dello skate era stata solo una scusa per poter passare un po' di tempo da sola con Timothée; quando tornammo verso casa, senza farci nemmeno caso, cominciai a far scivolare le ruote della tavola sul terreno. Sapevo ancora andarci: sorprendente. Timothée mi prese la mano, e non la lasciò più.

jugend - timothée chalametDove le storie prendono vita. Scoprilo ora