Trovarsi nel proprio naufragio

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Dario

Bella, dai, non si può dire il contrario. Occhi scuri, capelli mossi appena sotto le spalle e forme evidenziate dai leggins. Sì, le ho guardato il culo, niente male Rachele. No, Rebecca. 

  «Puoi toglierti questi occhiali da sole? Mica ti ho partorito così io!»  

Una voce squillate pervade il mio orecchio sinistro. Mia madre, donna con una voce più 'alta' della sua effettiva statura, mi sorride con ancora gli occhi colmi di lacrime portandomi entrambe le mani in viso, quasi come se volesse accertarsi della mia presenza, quasi come se avesse paura di perdermi, paura di perdermi per la seconda volta. 

  «Mamma, alle ragazze piace l'uomo misterioso.» Butto sullo scherzo, per smorzare la situazione. Non ho mai avuto una grande capacità di autocontrollo: fino a qualche tempo fa, io ero l'esempio palese della mancata presenza delle mezze misure. O 100 o 0, mica 50. O 50 o 0, mica 25. Ho sempre avuto questo meccanismo dentro di me che mi portava a compiere atti quasi discordanti tra di loro, partendo dall'avere i capelli lunghi fino alle spalle e poi direttamente rasati, e finendo con il prima amare follemente una persona, donarle cuore e anima, passare le notti in bianco sotto la sua finestra come solo gli adolescenti sanno fare, per poi finire quasi a provare un grandissimo stato di apatia nei suoi confronti, anche solo per un piccolo fraintendimento. Ci voleva poco per farmi passare l'amore, come ci voleva poco per farmelo venire. Ero io, Dario, quel ragazzo troppo alto e troppo magro che se prendeva confidenza era capacissimo di chiamarti alle due di notte per dirti che aveva prenotato un volo per New York, solo tu e lui, solo per farti piacere, solo per renderti felice, che magari tanto ti aveva sentito parlare di New York. Ma anche quello con la paura fottuta dell'abbandono, quella paura del non essere mai abbastanza, quella paura della sofferenza, che al primo gesto 'sbagliato', lo portava a staccarsi definitivamente. Non potevo stare davanti a te senza mettere nelle tue mani il mio cuore di cartapesta, sennò non dovevo nemmeno incrociare il tuo sguardo. Era bello dai sorprendere tutti con repentini cambi di look, con il giorno prima passato a piangere nel letto e il giorno dopo passato in giro per Bologna dalle 13 alle 00. Era bello, perchè quello che provavo, anche se portato ai massimi livelli, era sincero. Mai e poi mai mi sarei sognato di leccare il culo a qualche professore; avevo grandi difficoltà nell'essere di circostanza. 

Ma nella mia famiglia, una persona con cui ero sempre 100, ma proprio 100 e lode, 100 spaccato, 100 +, con me ha deciso di essere 0. Con mamma ha deciso di essere 0. Ha deciso di essere 0 con la vita. Sei uomo finchè lasci gli altri essere tale. Il rolex, che poi rolex non è, è un casio, ma nella mia testa faccio finta che sia un rolex perchè anche se mi fingo anticonformista alle mode e al sentirsi pari passo con la società odierna sono il primo ad esserci rimasto sotto, nasconde quella cicatrice sul polso, non data da picchi autolesionistici, ma semplicemente da un piatto lanciato con troppa furia da chi furia non dovrebbe averne. Ogni tanto ci penso a come dovrebbe essere la mia vita con un padre accanto, con una madre presente. Lei ci prova, ci prova a rimediare al sbattere fuori di casa me per tenere dentro lui. Ci prova, e ci prova, ci prova e non smette mai di provarci. Era innamorata, della persona sbagliata, ma lo era. Quasi come se una carezza  potesse fungere da toppa nei confronti di uno schiaffo.

  Abbasso lo sguardo e vedo uno scricciolo di quasi 1.20 attaccato alla mia gamba. Michele, cresciuto troppo in fretta. 

«Michele, hai fatto il bagno dentro l'attack prima di venire a prendermi in stazione? Puoi staccarti dalla gamba, ora Dario è qua per restare!»   Dice mia madre cercando di richiamarlo all'attenzione.

  «Davvero Michi, è arrivata l'ora di restare!»  

Ma lui no, non si stacca. Quasi come se volesse accertarsi della mia presenza, quasi come se avesse paura di perdermi, paura di perdermi per la seconda volta.

Mi abbasso e accarezzo il suo morbido viso. Lui mi salta al collo. La purezza dei bambini, anche se bambino lui non lo è mai stato.

Con Michele su di un braccio e la mano 'libera' impegnata a stringere quella di chi mi ha tenuto in grembo per nove mesi, mi indirizzo verso casa. Non ricordavo la bellezza di abitare quasi di fianco alla stazione.

  «Oggi esci?»  

  «Credo proprio di sì ma', se non mi faccio vedere dagli altri rischio il linciaggio.»  

  «Ma sai che Cesare si è sposato? Ti ha invitato?»  

  «No mamma, ho perso di gran lunga i rapporti con tutti. Sapevo si stesse per sposare, ma continuo a non capire. Hai 22 anni, perchè rovinarti la vita così?»  

  «Come sei pessimista figlio mio!»  

  «Non è pessimismo quanto semplice realismo.»  

Arriviamo davanti alla porta di casa e un gran brivido pervade il mio corpo. La porta si apre e quello che mi trovo davanti mi fa gelare il sangue. Abbasso lo sguardo, e incrocio quello di mio padre.

  «Papà?»  

Per un attimo non realizzo e sento la terra mancare da sotto i piedi. Lui mi guarda con aria beffarda.

  «Mi vuoi dire che non l'hai sperato?»  

  «Cosa?»  

  «Insomma guardami, sono bloccato su una cazzo di sedia a rotelle! Ci hai sperato!»  

  «Alessio, modera i termini.» Mia madre cerca di riportare ordine «Dario non sapeva niente di tutto ciò.»    

Mi porto le mani alle tempie emulando un massaggio, ma scappo in camera mia, come qualche anno fa, quando credevo che i problemi potessero essere fermati da un cartellone con su scritto 'NON ENTRARE SENZA BUSSARE'.

Non riesco a realizzare, mi tremano le gambe e decido di sedermi. Vengo distratto dallo squillo del telefono. Fottuta tecnologia.

Squilla di nuovo.

Fottuta tecnologia.

Squilla ancora una volta. 

'Beh vez, sei tornato in patria?'

'Dai rispondimi!'

'Tanto so che sto disturbando la tua sessione di paranoia giornaliera, quindi smettila di fare la checca al primo ciclo mestruale e rispondi ai messaggi!'

Frank, quasi mi sei mancato.

Venerdì seraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora