XVIII

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La pelle verde del mutaforme si tramutò in scaglie nell'esatto momento in cui il soffitto roccioso venne liberato dagli artigli acuminati, schiacciando quasi mortalmente il corpo dell'uomo sotto di lui.
DeathStroke caricò tutte le sue forze nel pugno destro, mentre la mano sinistra afferrò impavidamente il muso del velociraptor, prevenendo eventuali morsi, e lo colpì poco sotto l'occhio, che non ebbe avuto l'opportunità di centrare dati i suoi continui sgomenti. Di tutta risposta il rettile lo graffiò in viso, sulla mascella, che era rimasta scoperta, lasciando tre tagli molto profondi che fecero arrugare il volto dell'uomo dal dolore, abbassando la guardia; subito, approfittò di quel piccolo momento di distrazione per liberare il muso dalla presa e puntare le sue zanne contro la sua testa che, però, mancò di ben poco, trovandosi tra le fauci il pavimento roccioso.

L'uomo rotolò via da sotto il rettile, rimettendosi con estrema agilità in piedi e toccandosi la ferita grondante di sangue.
Beast Boy alzò di scatto il muso, sollevando un pezzo di roccia incastratosi tra i denti e distruggendolo, battendolo contro la parete. Diede una veloce occhiata ai suoi amici per verificare che stessero bene, sgranando, però, subito gli occhi e ritrasformandosi nella sua forma umana.
Robin lo fissava a denti stretti e pugni serrati, come se volesse intervenire ma non potesse. Come se ci fosse qualcosa che lo frenasse. Sebbene avesse la sua solita maschera a coprirgli gli occhi, era certo di poter sentire il suo sguardo schiacciarlo a terra, la tipica occhiataccia da "non farlo".
Ne aveva avute tante, di occhiatacce, da quando lo aveva conosciuto, specialmente di quel tipo, ma perché adesso? Perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa? Perché stava facendo qualcosa che andava contro la volontà di Robin? Li voleva aiutare, li stava salvando. Eppure il moro, incrociati i suoi occhi, portò lentamente la mano dietro la schiena, sul suo bastone, come se fosse pronto ad aggredirlo.

Poco più lontano da lui due occhi celesti lo scrutavano dalla testa ai piedi. La bionda aveva alzato il capo quanto le bastava per poter scorgere le due figure, rimanendo rannicchiata sulle ginocchia e sostenendosi con un gomito, mentre con la mano libera esercitava pressione sul cranio, come se il dolore potesse passare man mano che la mano le coprisse la fronte.
Avrebbe detto che, dal suo sguardo, Terra fosse stata completamente colta di sorpresa, che il suo attacco non fosse nemmeno minimamente immaginabile. Sebbene da un lato ne fosse contento, poiché ciò voleva dire che era stato eccellente nell'imboscata, dall'altro lato ne rimase deluso: davvero pensava che l'avrebbe lasciata marcire con DeathStroke? Non aveva fiducia in lui?
L'uomo, intanto, esaminava velocemente le armi a sua disposizione, per poi ghignare. «Chi l'avrebbe detto, che proprio il ragazzo più ingenuo del gruppo si rivelasse la "salvezza"» mimò, «per i suoi amici.»
Il ragazzo si voltò verso di lui, accecato dall'ira. «Tu...—»
«Se porterai a termine il nostro piccolo esperimento, sarò clemente» lo interruppe d'un tratto, guardando con un sorriso spezzato la corvina che, però, tenne fisso il suo sguardo sul mutaforme, i quali occhi ebbero finalmente l'opportunità di incrociare i suoi.

E Beast Boy si sentì perso. «Rae...» sussurrò. Un senso di smarrimento, come se non sapesse più nemmeno ciò che stesse facendo.
Era solita guardarlo impassibile, senza lasciar trasparire alcuna emozione, nessun sentimento; a lungo andare ci aveva fatto l'abitudine, sebbene da qualche mese, ormai, aveva imparato a superare quel muro di indifferenza nei suoi occhi, aveva imparato a leggerle il viso come se fosse uno di quei libri che ti portano all'ossessione, che ti leggi ovunque perché, semplicemente, senti di non poterne più fare a meno; l'aveva conosciuta e sapeva di tutto quel buono che Raven era solita nascondere nel suo mantello, con il suo carattere e il suo temperamento. Le sue iridi nascondevano una mappa, una storia, e amava cercare di ricomporla negli attimi di distrazione della corvina, quando guardava le stelle o leggeva un libro, o semplicemente di sfuggita, velocemente, giusto per ammirarle quei pochi secondi che gli bastavano per potersele tenere a mente fin quando non li avrebbe di nuovo rivisti, per potersele portare ovunque, per potersela portare ovunque.
Ma stavolta non sentì niente, non sentì nemmeno quella debole fiamma di rabbia che ardeva in lei la gran parte delle volte in cui qualcuno provava a parlarle. Non sentì preoccupazione, non sentì paura— non sentiva un cazzo. Nemmeno indifferenza. Niente.
Due occhi velati, vuoti, senz'anima.

Let me love you [BBRAE]Where stories live. Discover now