XIX

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Nonostante la stanchezza che ancora gravitava su di lui, Beast Boy aprì lentamente gli occhi, gettandosi inizialmente nel panico per il fatto che non riuscisse a vedere niente.
Sforzò la vista, guardando ovunque finché non riuscì ad intravedere una fievole luce farsi strada dalla fessura sotto la porta della sua camera, rassenerandosi subito dopo.
Doveva essere notte fonda.
Vagò ancora con lo sguardo, alzando lentamente il capo dal cuscino e socchiudendo gli occhi.
Sebbene, dalla sua angolazione, non si riuscisse ad intravedere granché, sapeva che qualcuno aveva riordinato la sua camera, sia per l'assenza dei vari joystick sul proprio letto, che era solito lasciare lì per pura svogliatezza, sia perché non percepiva odore di cibo nell'aria, spesso impregnato nelle rispettive confezioni che dimenticava di buttare.
Le serrande erano completamente chiuse, e dalle tende non trapelava nemmeno un raggio lunare. Si chiese se fosse veramente notte, o se fosse lui ad aver perso la condizione del tempo.
Un po' per curiosità, un po' per uno strano dolore allo stomaco —che subito associò alla fame—, portò i gomiti indietro e sollevò le spalle, deciso ad alzarsi.
Doveva risolvere ancora dei conti in sospeso, in ogni caso. A pensarci, non ricordava niente di quel che fosse successo dopo l'intervento di Raven, nei tunnel.

Cominciarono a passargli una marea di domande. Su cosa fosse successo a DeathStroke, a Terra, a quello strano posto, a Robin— a Raven. Come avevano fatto ad uscirne vivi?
Probabilmente, Raven aveva fatto qualche sorta di incantesimo ai quattro, che li aveva fatti sopravvivere.
E cos'era successo all'uomo? Si era salvato anche lui? Che aveva in mente?
Ad esser sinceri, il mutaforme non prese nemmeno il disturbo di cercare delle risposte che soddisfacessero i suoi quesiti su DeathStroke. Non per menefreghismo: ci teneva ai suoi amici, e aveva tutta l'intenzione di fare il culo al quel pazzo.
Ma i suoi pensieri orbitavano su qualcun'altra.
Aveva bisogno di vederla.

Sollevò ancor di più il busto, ma dovette fermarsi subito dal dolore. Non era fame, quella. Scostò le lenzuola fino al bassoventre e percorse il petto nudo con la mano destra, soffermandosi quando sentì, sotto i propri polpastrelli, le croste di ferite tanto rimarginate da non sentire quasi dolore. Non poté non pensare che, per essere guarite fino a quel punto, doveva essere rimasto incosciente per parecchio tempo, oltre alla consapevolezza di avere un gran bel fisico.
E le persone che lo sostenevano "discreto", tsk, non sapevano che cosa stavano perdendo.
Il vero dolore proveniva dal basso ventre, si espandeva su tutto il fondoschiena e sul fianco destro, fino alla coscia, e, più si sollevava, più lo sentiva.
Dopo vari minuti riuscì finalmente a mettersi seduto sul materasso. Esaminò velocemente la parte ferita, coperta da una spessa bendatura, e scattò velocemente in piedi, sperando che il dolore durasse, in questo modo, di meno.

Seguì fiducioso la luce proveniente da sotto la porta, sorpreso dal non essere inciampato in qualche maglia o sacchetto nemmeno una volta, e, con la mano poggiata sul fianco in un futile tentativo di ridurre la fitta, uscì dalla stanza.
Anche il corridoio, come la sua camera, era immerso nell'oscurità totale, nel solito silenzio inquietante da film horror, se non fosse per una tenue luce proveniente dal piano inferiore. Subito, si ritrovò a pensare alla corvina. Magari, aveva acceso il flash dello smartphone per passare inosservata, e, magari, stava sorseggiando un po' di tè verde, accompagnato dal solito enorme libro che, dal primo incontro con DeathStroke, non aveva più avuto l'opportunità di finire; magari, era tornato tutto come prima.
Si incamminò lentamente verso le scale, speranzoso, sbirciando nelle camere dei suoi compagni, quando passava, per vedere cosa stessero facendo gli altri, ma non riuscì ugualmente a vederci niente.
Sebbene non fosse completamente sicuro che Raven si trovasse in cucina, non si concese di entrare nella sua stanza per verificare che effettivamente non fosse lì: si fidò ciecamente del suo sesto senso. Si sarebbe ringraziato, più tardi, per non aver perso tempo.
Scese premurosamente le scale, con calma, e si rivolse alla figura sul divano. La luce dello schermo di fronte ad essa la oscurava ancor di più, tanto che gli venne da pensare che fosse una creatura divina, e per poco non gli venne da ridere.
«Raven...?» sussurrò.

Let me love you [BBRAE]Where stories live. Discover now