1. Arrivati all'Holiday Mountain

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Non avevo per niente voglia di passare l'estate in uno stupido villaggio vacanze con la mia famiglia. Tutti gli anni la stessa storia: finita la scuola facevano le valige e partivamo verso l' Holiday Mountain. Una vacanza ormai diventata tradizione, che io odiavo se non fosse chiaro.
Perchè non capivano che avevo appena compiuto diciotto anni e che non volevo passare l'estate con i miei genitori, ma passarla divertendomi con i miei amici come fanno tutti i normali adolescenti.

Entrammo nel parcheggio del villaggio, sollevando un polverone con la ghiaia della strada sterrata. Sembrava un segnale di fumo indiano per avvisare tutti del nostro arrivo.
Era tutto come sempre: i bungalow lungo la riva del lago insieme al ristorante e poi, nel resto del villaggio, tutti vari campetti e stabilimenti, dove si svolgevano le attività.
«Arrivati!», disse emozionato papà.
Alzai gli occhi al cielo.
Dopo aver parcheggiato nel nostro posto auto, scendemmo e prendemmo dal bagagliaio le valigie. Appena appoggiai il mio trolley a terra sentii una mano afferrare la valigia, mi girai e vidi un tipo basso dai capelli neri ed un po' cicciottello con una divisa rossa.
«Signorina, mi dia la sua valigia. Gliela farò trovare nel suo bungalow», mi sorrise l'ometto.
Ricambiai quel sorriso, anche se era pagato per fare quella mansione lo consideravo un gesto molto gentile e galante.
Come tutti gli anni, dopo il facchino, ci venne ad accogliere il proprietario: John Right, caro amico di mio padre e suo vecchio compagno di college; mentre mia madre si limitava a salutare e a tenere stampato sul viso un sorriso falsissimo.
La odiavo quando faceva in quel modo, praticamente sempre quando stava con noi. Preferiva il suo lavoro a noi.
La nostra famiglia era piccola, composta da me, mamma, papà e mia sorella Lizzie. Lei era più grande di me di un anno e praticamente nell'arco della mia vita, aveva ricoperto lei il ruolo di madre.
Come da manuale il vecchio e caro John in completo marrone, che faceva molto anni Settanta, –in particolare quell'orrenda cravatta rosso carminio in velluto – ci venne incontro.
«Hey, John!», lo salutò mio padre stringendogli la mano e subito dopo abbracciandolo; entrambi avevano un sorriso stampato in faccia.
Si vedeva che erano veri amici.
«Bob, come stai?», gli chiese John staccandosi da quell'abbraccio.
«Bene, grazie!»
«Ragazze come siete cresciute!», gli rivolsi un sorriso tirato, come fece anche mia sorella; poi si rivolse verso mia madre. «Karen, come stai?»
«Benissimo, grazie John», si strinsero la mano anche loro.
«Bene,», si aggiustò la cravatta. «Vi do il benvenuto nel mio villaggio, spero vi divertiate! Ragazze nel bungalow numero 23 si terrà una lezione di pittura domani mattina alle ore 9:00», ci informò.
«Grazie», lo ringraziammo in coro io e mia sorella. Tutti gli anni ce lo ripeteva e tutti gli anni io e Lizzie disertavamo quella lezione, per andare a prendere il sole al lago.
Quando finalmente John se ne andò, mamma potè far sparire il suo sorriso finto e tornare ad essere quella che era: una madre severa.
«Ragazze la cena è alle ore 8:00, andate nelle vostre stanze per rinfrescarvi. Ci vediamo alla mensa e non ritardate!», ci avvertì fulminandoci con lo sguardo.
Alzai gli occhi al cielo e mi avviai seguendo Lizzie, che sapeva a memoria la strada visto che tutti gli anni ci assegnavano lo stesso bungalow.

Quando entrammo vidi i miei bagagli ai piedi del letto, come mi aveva promesso il facchino. Sia io sia Lizzie avevamo una copia personale della chiave della stanza.
Erano solo le sei, quindi avrei avuto del tempo prima della cena ma cominciai lo stesso a disfare le valigie e a riporre i miei vestiti nel mio armadio.
Mi piaceva il nostro bungalow, mi era sempre piaciuto ed anno dopo anno lo trovavamo sempre uguale.
Era composto da due letti ad una piazza e mezzo, ognuna di noi aveva un armadio personale, poi c'era un divanetto appoggiato alla parete opposta ai letti, c'era un bagno abbastanza grande per due persone con una doccia ed infine c'era un piccolo portico fuori.
Tutto questo, dal portico al bagno erano sui toni del panna che mi ricordava molto lo stile vittoriano.
Quando finii di disfare le valigie erano appena le 6:30, mi feci una doccia rilassante e poi mi distesi sul letto con addosso l'asciugamano del bagno e basta. Ad un certo punto il mio telefono squillò avvertendomi di una chiamata, così mi avvicinai al telefono e vidi che era Lizzie.
Risposi.
«Lizzie?!», mi accigliai.
«Evy! Sono sulla spiaggia del lago, ho scoperto una cosa».
«Cosa?»
«Domani sera il villaggio organizzerà un falò per i giovani, ci andiamo?»
«Va bene!», risposi all'istante.
«Aspetta», mi fece.
«Cosa?», mi accigliai.
«Karen, non ci manderà mai ma non ti preoccupare, ci penserò io!»
Sorrisi anche se non poteva vedermi.
«Okay, a dopo e non fare tardi a cena!», la avvertii e, senza nemmeno darle il tempo di rispondere, attaccai.
Ero emozionata anche se sapevo perfettamente che mamma non ci avrebbe mai dato il permesso di andare.

Le 8:00 arrivarono velocemente e devo ammettere che per non essere in ritardo, ho dovuto attraversare il villaggio di corsa e al buio. Quando arrivai erano tutti a tavola che mi aspettavano, ma, fortunatamente, nessuno mi disse niente visto che ero arrivata alle otto in punto. Alla faccia vostra!
Ci portarono la prima portata e come sempre cominciammo a cenare in silenzio, finchè Karen non intervenì con un qualche sua notizia a proposito del lavoro.
«A settembre uscirà la nuova collezione!», ci informò entusiasta.
Mamma faceva la stilista e negli ultimi anni si dilettava nell'abbigliamento per giovani; qualche volta aveva chiesto consigli a me e a Lizzie a proposito dei gusti di "noi giovani" e noi fummo liete di aiutarla.
Era raro che ci chiedesse consigli, ma quando lo faceva non ci tiravamo mai indietro
Io e Lizzie sorridemmo per quella notizia e papà anche.
Durante la seconda portata mi ricordai di un particolare: la festa. Così alzai gli occhi su Lizzie che capì subito e si mise all'opera.
Si schiarì la voce. «Mamma, papà, io e Evy vorremmo chiedervi una cosa».
E così l'attenzione dei nostri genitori fu su di noi.
«Diteci», ci fece nostro padre smettendo di mangiare.
«Domani sera ci sarà una festa...», cominciai ma fui interrotta da mamma.
«No, no, no! Ve lo potete scordare!»
«M-ma la organizza il villaggio!», protestò Liz.
«Ve lo potete scordare!»
«Papà?!», lo supplicai con gli occhi, di solito lui era il meno severo.
Abbassò lo sguardo. «Avete sentito vostra madre, no?!»
Li guardai male, come fece anche Lizzie. Non avevamo mai speranze con loro, non potevamo permetterci neanche uno strappo alla regola.
Così non ci azzardammo più a proferire parola per tutta la durata della cena, finchè non fu giunto il momento di darci la buonanotte e di dividerci.
Mamma e papà si incamminarono lungo un sentiero ed io e Liz in quello opposto, l'unica fortuna di questo posto è che avevamo i bungalow in parti opposte del villaggio.
Lungo tutto il tragitto io e Liz discutemmo a proposito dell'argomento "festa" e, per l'ennesima volta, ci lamentammo del loro approccio troppo severo e rigido. Del resto eravamo loro figlie, no dei robot.
Perchè si comportavano in quel modo?
Arrivate davanti al portico estraemmo le chiavi quando, dal bungalow accanto, sentimmo della musica ad alto volume e delle voci di ragazzi.
Ci mancavano soltanto i vicini rumorosi.
«Saranno sicuramente dei ragazzini, che i genitori non controllano», scrollò le spalle Liz aprendo la porta ma io rimasi lì ad ascoltare quella musica e quelle voci, che sembravano troppo mature per dei ragazzini.

Era l'una passata e il volume della musica era sempre più alto, talmente alto da svegliarci entrambe.
«Vai a dirgli di abbassarlo!», bofonchiò Lizzie rigirandosi nel letto e coprendosi la testa con il cuscino.
Alzai gli occhi al cielo, mi alzai dal letto e, stando attenta a non inciampare, arrivai fino alla porta. Scesi le scricchiolanti scalette del portico e raggiunsi quello del bungalow accanto, quando fui davanti alla loro porta potei riconoscere perfettamente che quelle voci non appartenevano a dei ragazzini, bensì a dei giovani uomini.
Un po' in imbarazzo mi feci coraggio e bussai una prima volta alla porta rossa, ma non aprì nessuno. Bussai una seconda volta ed alla terza mi venne ad aprire un ragazzo alto e snello dai capelli color platino e dagli occhi del colore del cielo.
«Hey, dolcezza», mi sorrise squadrandomi da capo a piedi. Mi accorsi solo in quel momento che avevo indosso solamente dei pantaloncini corti e una maglietta larga.
«Potreste abbassare il volume?», dissi.
«Jake, la signorina vuole che abbassi il volume!», si affacciò dentro urlando.
Da dentro sentii delle risate.
«Signorina?!», sentii per poi veder spuntare dalla porta, al fianco del biondo, un ragazzo alto e snello come il biondo ma era l'opposto in quanto aveva la pelle olivastra e gli occhi e i capelli color cioccolato. «Cosa desidera?», mi fece il moro, anche lui squadrandomi da capo a piedi.
Okay, cominciavo ad aver paura.
«Puoi abbassare la musica?», ripetei in modo meno educato e più minaccioso.
«Hey, calmati!», mi fece il biondo.
Mi sta prendendo per il culo?!
«Sono calmissima!»
Mi stavo innervosendo.
«Okay,», mi fece il moro. «Ragazzi abbassate che la bambina deve dormire», rise sotto i baffi il biondo.
Mi accigliai imbestialita. «Non sono una bambina! Ho diciotto anni!»
«Beh, io ne ho venti vogliamo parlarne stanotte?», mi fece quello biondo appoggiandosi allo stipite della porta e con un tono di voce provocante.
All'inizio arrossii, ma poi non gliela diedi vinta. «Non penso proprio!»
Feci scoppiare a ridere tutti quelli presenti nel bungalow e detto questo me ne andai fiera di me.
Ma come si permetteva? Speravo proprio che non fosse così tutta l'estate!

Ecco a voi il primo capitolo della mia nuova storia! Aggiornandola durante l'estate, di sicuro lo farò molto più frequentemente!
Spero vi piaccia,
Giulia❤️

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