3. La maledizione spezzata

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Dodici anni dopo

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Dodici anni dopo


Ci si era perso alla fine, non solo nel suo sorriso, ma anche nei suoi occhi e nella sua anima: Sofia era diventata tutto per lui. Tornava spesso con la mente al loro primo incontro, soprattutto quando si ritrovava da solo a specchiarsi nel riflesso della lama in ossidiana, che stava giustappunto lucidando.

«È pronta» mormorò alzandosi e riponendola nel fodero.

Gli occhi verdi come smeraldi brillarono, incorniciati dai lunghi capelli neri, mentre un sorriso soddisfatto gli tese le labbra.

«La mia stella si sarà addormentata ormai, non posso farla aspettare.»

Erano passati dodici anni, era stato liberato dalla maledizione e le aveva dichiarato il suo amore, ricambiato. Adesso era giunto il momento di chiederle di stare con lui per sempre, bastava solo che dicesse il suo nome. Lo aveva imparato, se l’era fatto ripetere migliaia di volte, ma non lo aveva mai pronunciato. Ciononostante, era certo che quella notte sarebbe stata diversa.

Sofia era sua e lui le apparteneva, non poteva esserci un finale diverso, o più perfetto.

«Myra?» chiamò ad alta voce, uscendo dalla propria stanza.

«Eccomi, mio signore.»

La risposta giunse immediata, con voce dolce e melodiosa la giovane ancella si materializzò accanto a lui, fissandolo con occhioni dorati e adoranti.

«Devo andare, mi raccomando, prepara tutto. Sofia oggi si fermerà con noi.»

«Come desiderate, mio signore, ma ne siete sicuro?»

«Certo, perché non dovrebbe?»

Le scoccò un’occhiata tagliente, cancellando il sorriso.

«No, è che anche l’altra sera avevate fatto preparare tutto...»

Heréin sospirò, ridacchiando.

«Hai ragione» le disse accarezzandole la testa come fosse un gatto. «Però è a me che è mancato il coraggio di parlare. A volte può succedere.»

«A voi?» domandò incredula.

«Ti assicuro che trovo più facile affrontare un’orda di Drago Sangue» scoppiò a ridere. «Tu prepara tutto» concluse allontanandosi di qualche passo per poi svanire nel nulla.

Doveva raggiungere Sofia nei suoi sogni, era l’unico passaggio aperto tra i loro mondi e solo lì poteva amarla con il suo corpo. Non aspettava altro e anche a Hen, ormai, attendevano con ansia quell’unione che avrebbe, con molta probabilità, posto fine alla lunga guerra coi Drago Sangue.

La verità era che lo faceva solo per se stesso stavolta, non gli importava altro, solo di lei.

Ricordi ormai distanti nel tempo, eppure così vividi e belli nella mente di Heréin.

Schiuse il portale dal suo Regno al mondo onirico e raggiunse Sofia. La trovò in piedi intenta a osservare il salice, il loro salice, un posto magico a dispetto del cimitero che si trovava lì accanto. La morte non gli creava alcun problema, però aveva imparato che per gli esseri umani era diverso, avevano la tendenza a fuggirne il semplice pensiero, lasciando nascosti in quegli strani luoghi i resti dei loro defunti. Lei, invece, non aveva mai mostrato alcun timore, un po’ di tristezza le aveva adombrato il viso di tanto in tanto, scacciata dalle parole, dai racconti che gli chiedeva avidamente.

Curiosa e splendente, così era la sua stella.

«Aspetti qualcuno?»

Sofia fu colta alla sprovvista, sussultò e si voltò di scatto.

«Direi di sì» gli sorrise.

Bastò quello a mandarlo in confusione per un istante.

«Una persona speciale?» riuscì a domandarle, muovendo gli ultimi passi per annullare ogni distanza.

«Il mio Corvo.»

Aveva da poco compiuto vent’anni, non era più la bambina che aveva incontrato e lui non era più solo il suo compagno di giochi, il cantastorie che allietava le sue notti, facendole sognare mondi lontani. Allungò la mano, infilando le dita tra quei capelli non più così ribelli, e le portò il viso a un soffio dal proprio, in modo da poterle sfiorare la guancia col naso.

«Mi sei mancata» sussurrò e inspirò a fondo il suo delicato profumo.

Sapeva di primavera, d’un fuoco giovane e vivace desideroso di scaldare e donare vita, non di distruggere. Era stato proprio quel piccolo, insignificante dettaglio a guidarlo verso la verità, a spingerlo a cercare risposte e a rischiare tutto.

«Immagino...»

Il tono di Sofia lo strappò dai suoi pensieri.

«Non mi credi?»

«Hai un Regno e tanti mondi in cui viaggiare, hai incontrato e incontrerai creature straordinarie, tra feste e battaglie degne delle migliori saghe fantasy. Davvero vuoi che sia tanto stupida da pensare di avere un posto in questo?» gli disse dandogli le spalle.

Sembrò abbracciarsi da sola, chinando il capo verso le radici dell’albero. Anche il cielo si incupì con lei, d’altronde era il suo sogno ed era lo specchio della sua anima, del suo cuore. A volte non riusciva proprio a capirla e ciò lo irritava; finiva col domandarsi per quale motivo dovesse rendere tutto tanto complicato quando non lo era, metteva in dubbio di continuo i sentimenti che lo legavano a lei. Forse avrebbe dovuto raccontarle la parte mancante della maledizione, ma aveva paura che questo avrebbe portato i Drago Sangue a sentirla, a riconoscerla.

Cosa avrebbe fatto, se gliela avessero portata via?

Scosse la testa con decisione e l’abbracciò da dietro le spalle, mentre calava la notte.

Non voleva che fosse così triste.

«Non sei stupida, ma io non sono un bugiardo. Potrei anche offendermi, sai?» le disse lambendole l’orecchio con le labbra, che lasciò poi scorrere lungo il collo.

Sofia inspirò a fondo e lui la strinse con più decisione.

«Tu mi hai liberato, hai spezzato la maledizione e, prima di allora, hai squarciato il buio della mia solitudine. Mi hai accolto e mi hai tenuto con te. Tu non hai un posto nella mia vita, tu sei la mia vita.»

«La maledizione?»

«Lo ricordi quel giorno?»

Lei annuì piano.

«Fu un giorno strano» riprese Sofia. «Il più brutto e il più bello della mia vita, pensavo mi sarebbe scoppiato il cuore per il dolore...»

«Mi spiace averti fatto preoccupare tanto.»

Parve perdersi nei ricordi, rivivendoli, forse non lo aveva neppure sentito.

«Quando ti ho visto sulla ghiaia mi sono sentita morire, le piume coperte di sangue, il tuo respiro era frenetico e tenevi il becco aperto. Dio...»

«Mi raccogliesti disperata e mi portasti qui sotto. Sentivo i tuoi singhiozzi, alcune lacrime scivolarono sulle mie penne e fu bello... dolce.»

«Fu orribile!» sbottò lei ed Heréin serrò la presa per non lasciarla allontanare.

«Sì, ma il tuo amore, così puro, è arrivato dove nessun altro avrebbe potuto. Hai amato un Corvo, hai pianto la sua morte, la sua perdita, senza lasciarlo solo. Tu non mi hai abbandonato.»

«Non avrei mai potuto farlo. Non si abbandona un amico.»

«Ne è valsa la pena?» le chiese con una punta di curiosità e la voglia di sentirsi desiderato.

«Sì.»

Sofia girò la faccia verso di lui per quel che poteva, così la liberò e ne cercò gli occhi a sua volta. Le prese il viso tra le mani.

«È stata l’unica volta in cui ho potuto varcare la soglia del tuo mondo col mio vero corpo, grazie a te e per te. Volevo solo poterti consolare, abbracciare.»

«Lì il cuore mi scoppiò per la gioia. Eri bellissimo» confessò senza imbarazzo.

«E adesso?»

«Lo sei ancora.»

Fece esattamente come allora: la baciò.

Non capiva perché anche nei sogni si ostinasse a indossare quella maglia nera di cotone, che per lui era piuttosto ruvida rispetto ai tessuti realizzati a Hen, né perché si fosse messo a pensare a una simile stupidaggine in quel momento.

Il cielo si rischiarò, tornando sereno, anche se qualche nube persisteva.

«Voglio stare con te per sempre.»

C’era riuscito, glielo aveva detto finalmente.

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