Capitolo Due (prima parte)

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"Quaranta minuti" Mormorò fra sé e sé la ragazza, distogliendo lo sguardo dall'orologio appeso affianco al frigorifero. Quanto cavolo ci voleva per comprare una pizza?  
             
Mikasa si alzò dalla sedia sbuffando e si guardò in torno, nella speranza di trovare qualcosa che potesse distrarla dal ritardo del fratello. Lo sguardo le finì involontariamente sull'ingresso e, senza rendersene conto, rimase a fissare la porta per una quantità eccessiva di tempo, quasi sperando che venisse aperta e che spuntasse Eren, fradicio di pioggia e con un cartone della pizza in mano.

Voltò la testa dall'altra parte, passandosi una mano fra i capelli, e tentò inutilmente di tranquillizzarsi. "Non è il momento di andare in paranoia" Si disse mentalmente, "Non è così che sei stata addestrata"    
Ma quando il campanello suonò, la ragazza si lanciò letteralmente contro la porta, spalancandola con una forza eccessiva.

La persona che si trovava sul pianerottolo fece un salto indietro per la sorpresa e Mikasa non le lasciò il tempo di proferire parola. 
"Sei un cretino!" Gli gridò contro, "Quarantacinque minuti per comprare una benedettissima pizza?! Lo sai quanto mi hai fatto preoccupare, eh?! Lo sai, Eren?!"

"Non sono Eren!" Squittì terrorizzato l'altro e tirò giù il cappuccio dell'impermeabile rosa shocking che aveva indosso, rivelando una zazzera di capelli biondi.

Solo in quel momento la ragazza si rese conto dell'errore madornale che aveva commesso: per prima cosa, Eren non aveva mai avuto un impermeabile del genere, secondo, quell'orribile pettinatura poteva appartenere solo ad una persona.

"Armin" Sussurrò,  "Santo cielo, mi dispiace, Armin" si scusò, spostandosi dall'entrata così da farlo passare.
"Va tutto bene?" Le chiese lui, entrando e chiudendo la porta.

"Non ti ho mai vista così...agitata"

Mikasa poteva capirlo bene: lei era sempre stata una ragazza fredda, le uniche volte che alzava la voce era quando Eren faceva qualche cretinata, per il resto, era già tanto se apriva bocca. Prima di allora, non aveva mai perso la testa in quel modo e, in aggiunta, per una sciocchezza simile.

Aveva passato anni a guardarsi intorno, pronta a ritrovarsi faccia a faccia con qualcuno appartenente alla sua vita passata, prima degli Jaeger, o peggio, con gli assassini dei suoi genitori. Era stata sempre pronta a proteggere la sua nuova famiglia da ogni pericolo, ma quella sera aveva commesso un errore imperdonabile.

Sapeva che quella tempesta non era normale, sapeva che doveva essere il risultato di un qualche incantesimo di magia nera, ma nonostante questo, aveva lasciato Eren uscire. Quarantacinque minuti non erano nulla di che, ma con un qualche stregone pazzoide che modifica le condizioni climatiche a suo piacimento, potevano equivalere ad una sentenza di morte.

Fece appendere ad Armin l'impermeabile sull'attaccapanni dell'ingresso, e gli spiegò rapidamente la situazione. Si sedettero al tavolo da pranzo, affianco alla cucina, e come previsto, Armin le disse che non c'era da preoccuparsi.

Certo, pensò lei, lui non ne sa nulla delle origini di questo temporale. Armin era comunque un ragazzo sveglio, e si accorse subito che c'era qualcosa che non andava, Mikasa lo capì dal modo in cui i suoi occhi si soffermarono in quelli di lei.

"D'accordo," Fece poi, distogliendo lo sguardo, "Credo che il modo migliore per smaltire la pressione sia fare una bella partita a carte, non credi?"

"No" Fu la risposta secca della ragazza.  
"Va bene" Acconsentì lui, "Ma io ho voglia di fare un solitario"

Si alzò dal tavolo e andò verso l'isola della cucina, dove giaceva abbandonato un mazzo di carte.
"Perché sei venuto qui?" Le chiese Mikasa, osservando la figura del ragazzo girato di spalle che raccoglieva le carte sparse sul ripiano.

WolfedWhere stories live. Discover now