Cap.11

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Si alzò lentamente calciando le piume e appoggiandosi alla parete. Chiuse gli occhi sospirando. Fece per aprire la porta ma Dylan la aprì prima:"Aquila-"
Si guardarono a lungo in totale silenzio. Il grigio osservò la stanza interdetto, non sapeva cosa dire o cosa pensare. La stanza era completamente distrutta. Letto disfatto, lenzuola e cuscini strappati, piume ovunque, mobili ribaltati e quadri bucati. Rabbrividì trattenendo un urlo, guardò l'albino non trovando nessun tipo di parola. Aquila lo guardò gelido:"Ho ucciso mia madre."

"EH?!" Sgranò gli occhi sorpreso da quelle parole, il suo tono era diventato stridulo e lievemente disperato:"Tu cosa-?!"

"Prima di scappare sono andato in camera sua e l'ho accoltellata, dopo ho bruciato le prove e la casa."
Il grigio si appoggiò alla parete sbiancando:"Hai ucciso una persona!?"

"Sì, se la vuoi definire persona, sì."

Rabbrividì deglutendo amaramente:"Non potevi uscire e basta?! Non ti avrebbe mai cercato!"

"Chi ne aveva la certezza?" Sibilò:"E come potevo andarmene senza alcuna vendetta?!"

"E ora che l'hai fatto cos'hai concluso!? A cosa ti ha portato?! I tuoi dolori non sono passati e hai sulla coscienza una persona!"
Lo guardò sorpreso, aveva dannatamente ragione, cos'aveva fatto. Soffriva ogni giorno per il suo passato e in più aveva l'angoscia di un omicidio sulle spalle. Cadde sulle ginocchia sentendosi perso. Aveva sbagliato tutto, anche quello che pensava di aver azzeccato in realtà era la cosa più sbagliata che avesse fatto:"Perché devi trattarmi così..." socchiuse gli occhi guardando davanti a sé perso:"Non eri così, eri dolce, mi consolavi..." scosse la testa incredulo:"Ora non hai nulla da dire se non per criticare tutto quel che faccio." Alzò lo sguardo sul ragazzo che lo guardava sconvolto:"Hai detto che eri felice di avermi incontrato di nuovo, che eri felice che fossi in casa con te. Non è vero, non lo sei..." si alzò sistemandosi i vestiti e cercando una compostezza:"Mi dispiace..." lo superò uscendo dalla stanza, scese in sala prendendo lo zaino e mettendolo in spalla.
Dylan corse dietro a lui:"Aspetta! Che stai facendo?!"

"Sto andando via."

"Cosa?! Perché?! Non hai alcun posto in cui andare non-"

"Ho abbastanza soldi per prendere una stanza in affitto. Grazie." Gli lanciò un'ultima occhiata ed uscì dalla casa.
Superò la casa camminando senza una meta, finché era lontano da quella casa andava bene.
Si sentiva spaesato ed enormemente deluso, non ci credeva che quella persona fosse Dylan, non poteva esserlo. Non era più dolce, non era più vero, era falso, più distaccato e facilmente irritabile, non era piacevole stare con lui e non era nelle condizioni per stare dietro a recuperare un rapporto.
Quel giorno riuscì a trovare una stanza dove stare in affitto e riuscì a trovare un lavoretto in un bar come barista qualche giorno dopo. I soldi dello stipendio mantenevano il budget totale alto abbastanza per il pagamento dell'affitto e delle altre cose necessarie. Dylan non lo sentì più e non gli interessava sapere cosa passasse. Gli incubi del passato continuavano a tormentarlo soprattutto i primi giorni nella nuova casa dove si trovava da solo con i suoi pensieri. Più passavano i giorni più riusciva a pensarci sempre di meno, si distraeva con il lavoro e con le nuove amicizie che si era fatto al bar. Nessuno lo discriminava anzi, sembravano piacevolmente sorpresi ed incuriositi dal suo raro aspetto, questo lo faceva sentire bene e un po' lo imbarazzava non essendo abituato a tutte quelle attenzioni.

Era una serata tranquilla e a lui toccava il turno serale. Era il weekend quindi la gente ingiro era parecchia e una mano in più non veniva rifiutata.
Entrò al bar salutando i colleghi che ricambiarono sereni. Andò nel retro cambiandosi i vestiti con una camicia bianca, eleganti pantaloni neri, un papillon nero e il grembiule attorno alla vita. Si guardò allo specchio attentamente sistemandosi un ciuffo. Sbuffò sistemandosi quell'odioso papillon che gli stringeva la gola:"Odio solo te in questa uniforme, sappilo." Roteò gli occhi ed uscì andando al bancone. C'era una piacevole musica di sottofondo e il vociare delle persone ai tavoli rallegrava l'ambiente.
Si appoggiò al bancone osservando i tavoli socchiudendo gli occhi. Il bar era in un quartiere frequentato da gente benestante e spesso da modelli, erano tutte persone eleganti e ben vestite. Si divertivano serenamente senza pensieri o preoccupazioni. Sospirò sognante, ad essere fortunati come loro... Scosse la testa distraendosi iniziando a pulire il bancone con cura mentre attendeva degli ordini.
"Aquila! Eccoti un ordine tutto per te." Una sua collega e amica gli mise un foglietto davanti con scritte le ordinazioni. Lo prese e lo osservò:"Ma quanti sono?" Ridacchiò:"Un esercito."
La ragazza scoppiò a ridere sistemandosi la coda:"È un gruppo di modelli dell'agenzia qua vicino. Royale?"

"Mi pare di sì." Attaccò il bigliettino alla parete insieme alle altre ordinazioni e iniziò a preparare i cocktail aiutato dalla ragazza.

"Sarebbe bello visitare quell'agenzia. Hanno detto che dentro sembra un museo!"

"Ah sì?" La guardò alzando un sopracciglio:"Che serve avere un posto così elegante se ci fai solo foto."

"Se hai i soldi..." ridacchiò:"Infatti se non sbaglio questi Royale hanno anche messo su una scuola e anche degli hotel privati."
Non sbagliava affatto, lo sapeva bene lui, era andato lui stesso in una scuola Royale.
Le sorrise non entrando nel dettaglio del suo passato:"Sì, l'ho sentito anch'io. Buon per loro insomma!"

"Puoi dirlo forte." Sorrise concludendo la parte della sua ordinazione insieme all'albino:"Andiamo a servire su."

"E non far cadere niente." La guardò intensamente trattenendo una risata mentre sistemava i cocktail sui vassoi. Lei lo fulminò ridendo:"Sei davvero malefico! È successo solo una volta!" Gli diede una gomitata scherzosa. Il ragazzo sorrise prendendo il suo vassoio e avvicinando l'altro all'amica:"Come dici tu..." le fece l'occhiolino sorridendo e andando verso il tavolo ignorando divertito le frasi di difesa personale della ragazza dietro di lui.
Si fermarono davanti al tavolo appoggiando i vassoi sul tavolo per distribuire i cocktail a tutti i clienti del tavolo. Fu distratto da un richiamo, era il cliente accanto a lui:"Ehi, finalmente mi hai sentito."
Lo guardò confuso:"Oh, mi scusi, come posso aiutarla?"

Gli sorrise guardandolo interessato:"Potresti aiutarmi dandomi il tuo nome."
L'amica rispose al posto suo affiancandolo:"Come scusi?"

"Ho detto il suo, non il tuo." Riportò lo sguardo sull'albino.

Questi alzò un sopracciglio guardandolo dalla testa ai piedi:"Aquila."

"Wow, che nome interessante! Non guardarmi in quel modo." Ridacchiò:"Semplicemente sento un certo feeling. E i miei sensi non sbagliano mai."
Gli avvolse un braccio intorno ai fianchi avvicinandolo a sé.
Aquila sgranò gli occhi cercando di allontanarsi:"Le credo ma mi lasci-"

"Oh andiamo dammi del tu!"

"Lasciami!"

"Uno spirito libero eh?" Alzò un sopracciglio sempre più interessato.
Come gli dava i nervi, come si permetteva? Pensava fosse una bambola per divertirsi? Ci era passato e non ci sarebbe tornato dentro ma non poteva tirargli un pugno in faccia, era un cliente...
"Per favore lasciami, non ho tempo per queste idiozie." Ringhiò facendo più forza per staccarsi.
Il ragazzo fece per ribattere beffardo ma fu interrotto da un amico del ragazzo che era nello stesso tavolo ma più in fondo rispetto a loro. Separò l'albino dall'altro spingendo appena l'amico:"Hai finito o cosa?" Ringhiò.
Aquila fece qualche passo indietro sistemandosi per bene e venendo affiancato dall'amica che lo strinse a sé. Guardò i due ragazzi che stavano discutendo, le luci soffuse gli impedivano di osservare i colori naturali dei ragazzi e non riusciva a vedere perfettamente i loro lineamenti. Fece per tornare al bancone insieme alla collega prendendo i vassoi ma fu bloccato gentilmente dal ragazzo che era intervenuto:"Ehi, mi dispiace molto per quello."

Si voltò verso di lui:"Oh, non si preoccupi, ca-" si bloccò interdetto, guardò il ragazzo negli occhi, se non fosse stato albino si sarebbe visto il suo viso sbiancare, Dylan...?!

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