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La mensa.

Luogo lurido e sempre affollato fino all'orlo di persone che di certo, non vi ci recavano solo per consumare il proprio pasto— o almeno, era ciò che pensava.
Una grande stanza di migliaia di metri quadrati, che occupava gran parte del piano terra. Le pareti rigorosamente bianche e tappezzate di telecamere nascoste, erano testimoni di un silenzio tombale che animava sempre quel cerchio dell'inferno. Felix l'aveva notato che c'era qualcosa che non quadrava, aveva fatto avanti e indietro da quel buco già da una settimana ormai e non c'era stato un singolo movimento sospetto o risse. Di solito in una prigione, non era forse il luogo ideale per dare inizio ad una qualche specie di ribellione o sfogare la propria rabbia repressa ? Perché tutti se ne stavano al loro posto e non facevano altro che muovere la bocca per masticare il cibo insipido che servivano invece di sputare veleno ?

Un pensiero furtivo e disgustoso gli era passato alla mente quel lunedì mattina. Si era ricordato di quanto fosse rumorosa la mensa della propria scuola, con chiacchiere e pettegolezzi come ordine del giorno. Le voci maligne di compagni di classe e sconosciuti che seminavano odio tra i tavoli, raccogliendo i fiori delle loro menzogne uno ad uno per poi riversare i petali sulle vittime cadute in disgrazia sulla punta delle loro lingue. Perfide, come serpi insensibili erano a caccia delle loro prede senza sosta, con la costante sete di sangue. E di come si sentiva impotente davanti a tutte quelle ingiustizie. Il peggio era il fatto che se n'era reso conto solo ora, chiuso in un penitenziario di massima sicurezza in mezzo al nulla.
Aveva inoltre notato alcune abitudini dei suoi compagni di cella, che gli si erano avvicinati sin da subito alla sua prima cena e si erano messi seduti al suo stesso tavolo. Credeva lo detestassero, soprattutto quel ragazzino di nome Jeongin, che si era lamentato un poco difatti, prima che Chan lo trascinasse con sé.
Woojin era solito separare la carne dalla verdura e a bere ogni secondo un sorso di acqua. Lasciava sempre il budino per ultimo, a differenza del più piccolo, che non appena si metteva a sedere apriva il barattolino di plastica trasparente e affondava il cucchiaio nel dolce con gusto. “ Perché lo fai ? ” gli aveva chiesto il biondo dalle lentiggini la prima volta e lui con un sorrisetto divertito gli aveva indicato Chan seduto accanto : “ Lo hyung non lo mangia il suo budino, e lo lascia a me.~ ”. Sapeva che da fuori poteva passare tranquillamente per una brava persona, ma c'era qualcosa che non lo convinceva. Nella loro cella, il pugile veniva rispettato come se fosse qualcuno da seguire, eppure Felix provava un certo ribrezzo nel guardarlo fisso negli occhi per troppo tempo. Non era certo un qualcosa di cui meravigliarsi dal momento che aveva sentito voci al riguardo, di come quelle iridi ti tenevano gelati sul ring come un pesce lesso, per poi farti diventare tanto imbambolato da non renderti nemmeno conto che sei finito a terra in una frazione di secondo, indolenzito e con un pulsante mal di testa. Ed è lì che preghi qualunque cosa ci sia là sopra, affinché tu possa essere ancora tutto intero, senza nulla di rotto. Nella peggiore dei casi, dall'altra parte.

Una delle primissime regole : l'apparenza inganna, non fidarsi di nessuno. Almeno una volta alla sera prima di chiudere gli occhi, il biondo lo ripeteva nella propria testa. Stupido, ma nemmeno troppo. Era solo stanco di cadere in trappola come un topino senza alcun buon senso, sempre alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, non curante del gatto che lo aspetta dietro l'angolo. Di problemi e risentimenti ne aveva già abbastanza, non gli serviva completare la collezione di scheletri nell'armadio— uno o due bastavano e avanzavano.
Aveva deciso che avrebbe mantenuto un profilo basso, non sarebbe stato difficile. O almeno era quel che credeva, se non fosse stato per il suo eccessivo temperamento e la smania di aprire bocca nei momenti più inopportuni. Soprattutto quando era sotto pressione, annoiato e visto come un rifiuto della società.

‹ Che razza di nome è Jingjingie ? Mi prendete in giro ora.. › aveva sussurrato fra sé e sé, Felix : ‹ .. ero sicuro di trovarmi in un penitenziario, non all'asilo. ›

Se quello di prima era silenzio, dopo aver pronunciato quelle parole, tutti quelli che l'avevano sentito, si erano tirati su col capo smettendo di mangiare, come se un brutto presagio li avvertisse che presto ci sarebbe stato uno spettacolo molto più entusiasmante dei pezzetti minuscoli di verdura fluttuanti sulle proprie zuppe senza vitalità e sapore.

‹ Qualcosa contro il mio nome, principessa ? › un sorriso sarcastico e delle risa che rimbombavano in tutta la stanza erano giunte all'orecchio dell'australiano.
‹ Lascialo stare, è appena arrivato. ›
‹ Meglio così, non credi Chan ? Sarà un buon modo per dargli il benvenuto.. sai, uno come te verrebbe divorato subito se ci trovassimo in un buco d'inferno come tutti gli altri. Per tua fortuna non ho intenzione di marcire qui, quindi non urlare troppo. ›
‹ E tu fammi il favore di chiudere quella fogna, starei cercando di mangiare. Forse era il ronzio di qualche insetto— › aveva posato la forchetta sul tavolo, rigorosamente bianco, con un'infrenabile voglia di fare a pugno con qualcuno.

Era ritornato al primo giorno, nel quale aveva concesso un po' di attenzioni a bocche maligne e come risultato, aveva perso la pazienza e mosso i muscoli. Tutto ciò di quel penitenziario gli faceva un cattivo effetto, come avrebbe potuto mantenere un comportamento passivo se continuavano a provocarlo ? Nonostante questa volta, se l'era stupidamente cercata.
Felix era ghiaccio, ma non sarebbe sopravissuto molto tra le fiamme della dannazione e del tormento che quelle quattro mura generavano.
I suoi compagni di cella lo guardavano con disappunto e solo allora aveva deciso di alzarsi e fronteggiare il diretto interessato.
Una piccola folla di detenuti, incuriositi dall'esito del litigio o solamente trascinati dal movimento, era andata a formarsi intorno al suo tavolo.
Basso. Il primo pensiero che si era andato a formare nella propria mente era l'evidente differenza di altezza con quel ragazzo. Gli avrebbe riso in faccia se fosse stato un po' più stronzo, ma non lo era in quel caso. Purtroppo.
Capelli corvini, corti e rasati ai lati, in gran contrasto con la chioma bionda e incolta che aveva lui. Gli occhi erano affilati e scuri, tanto che riflettevano benissimo l'immagine del diciassettenne e altrettanto erano minacciosi. Le labbra contratte.
Probabilmente era poco più giovane di lui, ma non abbastanza da creare compassione. L'aura che emanava, era del tutto malvagia e dalla sua sfacciataggine, era facile pensare come fosse uno che aveva compiuto più di una bravata nella propria vita per cui si trovava lì, insieme a lui.

‹ Senti, è colpa mia, lo so. Ho iniziato io, ma onde evitare— ›

Un dolore lancinante alla guancia sinistra e la forza con cui il colpo gli era arrivato, lo avevano costretto a cadere sul freddo pavimento della mensa. Le immagini sfocate e l'orecchio che fischiava non erano d'aiuto. Si sentiva disorientato, se avesse chiuso gli occhi avrebbe pensato di trovarsi sul cortile della propria scuola media, rannicchiato a terra a subire i colpi di bulli di passaggio, che evidentemente, non riuscivano proprio a fingere di essere brave persone. Quei ricordi d'infanzia che erano soliti chiusi nell'angolo più remoto della propria memoria, tornavano a tormentarlo quando si sentiva debole e indifeso. Incapace di reagire, come le foglie verdi di un vecchio albero che si staccavano una ad una al passaggio di un forte temporale estivo.
Dunque era questo che voleva essere per tutta la vita ? Un perdente che si faceva pestare come un sacco di patate da dei delinquenti di quartiere ? Era meglio di così, e nemmeno lo sapeva.
Il dolore era solo un effetto collaterale, trovare la forza di alzarsi e affrontare a testa alta chiunque lo sminuisse, era la cosa giusta da fare.
Stanco di ignorare, essere consumato dall'ipocrisia delle persone, di non essere in grado di difendersi da solo, era l'ora di combattere.
Non voleva dimostrare nulla a nessuno, non gli interessava essere migliore di quel ragazzo— diamine chi era lui per parlare di morale ed etica in un fottuto penitenziario di massima sicurezza dimenticato da Dio ? Ci era dentro fin sopra la testa anche lui e provava così tanta rabbia repressa, era una bomba a orologeria pronta a scoppiare. Pensava al viso in lacrime di sua madre, contratto in una smorfia devastante.
Colpevole o meno, agli occhi delle persone lui era un assassino.
Perché non dimostrarlo, allora ?

‹ Dannazione Felix ! ›

ᴅɪsᴛʀɪᴄᴛ⑨ Where stories live. Discover now