Hey Darlin

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8.


There's one life I've ever known
Much I've changed but not outgrown
I'm trying to make a go
Alone
But I can't see without your stare
When your voice is never there
There's a void hang in the air
At home


Dean tamburellò con le dita sulla scrivania.
Stava meglio senza sedativi, e finalmente lucido si era alzato da quel dannato letto, anche se era riuscito a fare solo tre passi prima di dover collassare sulla sedia per riprendersi (contava comunque come miglioramento). Passare le giornate da solo nella sua stanza era una palla totale, ma almeno non era più legato. Ci era voluto un po' a convincere Zack a ridurre le dosi, e Dean sospettava che ci fosse lo zampino di Sam. Doveva essere passato durante la sua visita settimanale, e non trovandolo... Cas sicuramente gli aveva detto qualcosa. Dean poteva vedere chiaramente il suo fratellino tirare fuori gli artigli e fare un casino per tutto l'ospedale finché non avesse stanato Zack e si fosse fatto spiegare la situazione. E richiesto di vederlo. E se non poteva vederlo, che almeno gli togliessero le cinghie, perché suo fratello non era un animale.
Quando avesse visto Cas quella sera - ormai era una visita fissa, ogni notte scivolava silenzioso nella sua stanza - glielo avrebbe chiesto. I primi giorni, troppo intontito dai medicinali per stare sveglio più di qualche minuto alla volta, Dean se lo trovava lì quando apriva gli occhi, immobile e rigido su quella seggiolina, lo sguardo un po' fuori fuoco che ritornava lucido quando si rendeva conto che Dean fosse sveglio. Probabilmente si sentiva anche lui solo, a stare tutto il giorno in quella saletta senza Dean a tenergli compagnia. Ironico, no? Si erano invertiti i ruoli.
I fogli erano sparpagliati a caso per tutta la scrivania, ma Dean sapeva più o meno cosa fossero, in quel modo particolare che hanno le persone disordinate di saper localizzare le cose nel mezzo del casino perché il subconscio, in qualche modo, sa dove trovarle. Prese un po' di carta straccia dove aveva abbozzato qualche disegno nei momenti di noia - momenti pre-Cas, non aveva più toccato matita da quando si era votato alla crociata di far rinsavire quella testa dura - e qualche schizzo di Sam e Bobby, qualcosa di John (che però non aveva mai finito), qualche riga buttata giù a mo' di diario personale, un po' parlando a se stesso e un po' a Sammy.
Prese un altro foglio bianco, stringendo il tappo della penna tra le dita e facendolo picchiettare sul legno.
Non aveva comunque altro da fare, no? Cas non sarebbe arrivato fino a tarda sera, quando i turni di guardia diventavano meno frequenti (sul serio, era più una prigione che un ospedale), e avrebbe dovuto trovare un modo di ammazzare il tempo, visto che di muoversi intorno alla stanza non c'era verso. Ripensò alla scrivania di Cas, ricolma di lettere. Si ricordava di aver immaginato che fossero dirette alla sua famiglia, a sua madre - pensò di chiedergli anche questo quella sera.
Il tappo sapeva di un qualcosa di ferroso sulla lingua, mentre lo mordicchiava.
Finalmente si decise. Posò la punta sul foglio, e tergiversò scrivendo la data sul margine in alto a destra.
Prese un profondo respiro.
'Ehi mamma, sono io. Dean.'

**


Cas lo trovò a letto, quella sera. Si era stancato comunque, anche se non aveva fatto altro che scrivere tutto il pomeriggio - dannati sedativi. Alla fine si era accasciato sulle coperte, col cervello talmente sfinito che era stato quasi tentato di chiedere all'infermiera di imboccargli la cena.
Era nel dormiveglia quando sentì la porta richiudersi, e aprì un occhio. Cas era impalato nel suo solito modo, lo sguardo attento su di lui.
"Ehi, Cas."
Si stropicciò gli occhi e si accomodò con la schiena sui cuscini, mentre Cas continuava a sorvegliarlo, cercando segni di recupero o di cedimento. Che mammina apprensiva. Il pensiero della mamma gli contrasse un po' lo stomaco, ma lo ributtò giù, dietro tutto gli organi, dove non poteva fare male a nessuno.
"Stai bene?"
"Alla grande. Ho persino fatto una passeggiata fino alla scrivania, oggi."
Cas si voltò verso il cumulo di fogli, valutando la distanza dal letto al tavolo con un cipiglio e probabilmente chiedendosi come fosse riuscito ad arrivarci, date le sue condizioni zombifiche.
"Ho... ehi, posso chiederti una cosa?"
Cas annuì, confuso dalla domanda - Dean gliene aveva sparate tante senza mai preoccuparsi di chiedere il permesso, prima d'ora - e si sistemò con la sedia di fronte al letto, come d'abitudine.
"Quelle lettere che sono in camera tua...", Cas si irrigidì appena, "sono per tua madre?"
Un lieve cenno di assenso fu tutta la risposta che l'altro riuscì a dargli.
"Bene. Voglio dire... bene che vuoi rimanere in contatto con lei. Sono sicuro le faccia piacere, e..."
"No, non...", Cas lo interruppe, e si leccò le labbra dallo sforzo che gli costava parlarne. "Non le ho mai spedite."
"Perché no?"
"Perché a differenza tua, non sono affatto sicuro che le farebbe piacere."
"Andiamo, è tua madre..."
L'irritazione scattò fulminea agli occhi di Cas. "Ho ucciso tutti i suoi figli, Dean."
"Non li hai uccisi tu! E per la miseria, anche tu sei suo figlio."
Si strinse nelle spalle. "Non più."
Dean si stropicciò mento e bocca con il palmo, un fastidio enorme allo stomaco per quanto la rassegnazione di Cas lo facesse stare... male. E stava cercando di non ribattere e dirgli quanto tutto quello che aveva detto fosse una stronzata. Ma alla fine chi era lui per giudicare i rapporti familiari? O giudicare qualunque cosa a prescindere? In più, discuterne non sarebbe servito a nessuno dei due.
"Non è... non è qui che volevo arrivare con questa storia. Anche se, credimi, non mi fa piacere sentirti dire che non appartieni alla tua stessa famiglia..."
"Come a me non piace sentirti dire che hai dei demoni nella testa," tagliò corto Cas.
"Giusto," Dean azzardò un sorriso che Cas riuscì quasi a contraccambiare - si era un po' rilassato, almeno.
Era strana quella situazione, Dean avrebbe voluto sentirsi diverso. Dopo quel break down emotivo, il minimo sarebbe stato provare disagio. E c'era certo una specie di imbarazzo di base nell'essere stati visti al proprio punto più basso - o almeno uno dei più bassi - invece di disagio non ne trovava traccia. Forse era per via di tutto quel tempo speso a far riaffiorare Cas, a volerlo proteggere. Forse perché sapeva che Cas non l'aveva guardato e visto debole, ma solo... rotto, come lui. Forse quando si conoscono le crepe degli altri, è più facile non avere vergogna delle proprie.
"Quello che volevo dire è...", tentò di ricominciare. "Te l'ho chiesto perché... perché oggi ho scritto una lettera anch'io." Studiò il volto di Cas, che rimase inespressivo, sebbene in ascolto. "A mia madre."
Qualcosa gli si accese nello sguardo, un guizzo in quel mare di blu. "Davvero."
Non era nemmeno una domanda, anche se raramente con lui lo erano.
"Davvero," si costrinse a non stropicciare le coperte per il nervosismo come una ragazzina. Questo era un argomento mai toccato prima, tabù con papà e conseguentemente con Sam. "Se ti può consolare, nemmeno questa verrà spedita."
Riprovò con un altro sorriso, ma a questo Cas non pareva intenzionato a reciprocare. "Non mi porta nessuna consolazione, Dean."
Per la prima volta si ritrovò ad abbassare lo sguardo sotto la ferrea rigidità di Cas, anche se con un sorriso a mezza bocca. Una morsa gli stringeva lo stomaco, perché quel tipo di sguardo era proprio quello che nel pomeriggio, in un momento di pausa dalla scrittura, aveva buttato giù in un ritratto che ora giaceva nascosto tra la rete fredda del letto e il materasso.

I Got Demons Inside My HeadWhere stories live. Discover now