Il dirupo. (Epilogo)

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Tornavo da dove avevo sputato sangue,
facendo a botte con la morte.

Scrivevo dell'inverno alle porte,
su una panchina sporca alla stazione.

Un barbone dormiva poco più in là,
ridendo nel sonno in faccia alla sorte e all'ipotermia.

Vecchia carta e carboncino, niente di più avevo.

Nostalgica pensavo alle mie bozze,
al locale polveroso, agli strati
di lontananza sulle tavolozze.

Non avrei lasciato nulla a nessuno,
tumulata di fianco alla stazione, così pensavo,

ad osservare binari e volti, a ricordare gli altri
ancora ancorati ai fiordi del mio cuore.
I colori si erano ormai seccati e i pennelli

spezzati dal gelo e dalla fame della tela.

Ero vecchia e intossicata
di grigio e tristezza
di mondanità vana e amarezza

d'amore.

Vecchia stronza, pensavo chiamando la vita,
Perché sembra essere tutto tempo da buttare,
Così invalicabile,

Così silenzioso e tombale?

Il dirupo si cela forse ai nostri piedi,
ai nostri sensi?
al nostro cosidetto coraggio?

Ci hanno linciato, e questa è la nostra eredità
povera e imbrattata di sputi, arte della vita
profanata dalle stesse mani che la crearono!

Siamo forse già frantumi, già voragini sbriciolate dagli insulti e dalle lame
dei nostri finti compaesani?

Ahimè, muoio
sulle vostre urla, assassini!
Vi aspetto nella voragine dell'angelo caduto.

Siamo tutti dannati senza nome,
qui al cimitero vicino alla stazione.

Il nero più scuroWhere stories live. Discover now