Capitolo 9°: Sanguinosa scoperta.

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Capitolo 9°: Sanguinosa scoperta.

 

Quella mattina la signorina Ruth Dickens passeggiava tra le strade vittoriane con espressione del tutto dubbiosa. Guardava quei fantastici palazzi storici con una pura confusione che non faceva altro che tormentare la sua mente già afflitta da numerosi pensieri e problemi.

Nella giornata precedente, come tutti i dì, si era recata a casa Brown per servire il suo padrone e non aveva neanche incrociato il signor Bastian Waynther, il quale era un suo grande amico. Si conoscevano da parecchio tempo e così anche le loro famiglie, tanto che da piccoli i loro figli giocavano spesso insieme. Chiese ad Alexander informazioni sul suo conto, ma l’unica risposta che ricevette fu: “Era molto ammalato e così gli dissi di tornare alla sua dimora”.

Ruth non aveva creduto a una sola parola. Il suo padrone non era mai stato così solidale con la servitù e soprattutto, conoscendo Bastian, non avrebbe mai accettato la proposta del signor Brown per non perdere i guadagni di una gratificante giornata di lavoro.

Mentre camminava tra le bancarelle del mercato alla ricerca di frutta abbastanza matura da portare a casa di Alexander, si ricordò di un particolare che notò mentre puliva il suo studio al posto di Bastian: una botola. Presa dalla paura e dall’angoscia che qualcuno potesse scoprirla, non sbirciò al suo interno, ma si promise che quel giorno stesso l’avrebbe fatto. Sapeva che c’era qualcosa che avrebbe dovuto scoprire proprio in quel luogo.

Sistemò i suoi capelli castani e ricci, raccolti in un perfetto chignon e in seguito, anche il vestito azzurro, nascondendo così le pieghe solite di una piegatura imperfetta dell’indumento; era sempre di fretta per poter giungere puntuale a lavoro, altrimenti sapeva che Alexander avrebbe potuto licenziarla. Sarebbe stata una situazione orrenda, poiché le era morto il marito qualche anno prima a causa di una fulminante malattia e come se non bastasse, aveva ben tre figli da mantenere. Per lei era già una benedizione che il signor Brown l’avesse accolta nella sua dimora come cuoca, anche se profondamente pensava fosse un uomo abominevole, poiché abusava di lei. Ogni notte era tormentata da incubi in cui ripercorreva quegli istanti di pura vergogna e violenza; sentiva ancora le sue viscide mani toccarla, ma soprattutto ricordava bene i suoi gemiti fuoriusciti a causa del piacere.

Si affrettò a comperare la frutta e la verdura più commestibile e in seguito, si diresse verso quel maestoso palazzo, mentre ancora la sua mente veniva investita da innesti dubbi e pensieri.

Pensava a Roger, suo figlio più grande e alle due gemelline Hester e Amy, le gioie della sua vita. Li amava incondizionatamente e voleva solo il meglio per loro. Infatti, sacrificava soldi e salute pur di renderli felici. Non vedeva l’ora di tornare a casa da loro e riabbracciarli come faceva sempre, riempiendoli così di calde e dolci carezze.

Ruth finalmente giunse all’edificio del signor Brown, riponendo così le compere nell’ampia e grande cucina dove lei stessa lavorava. Approfittò del fatto che lui dormiva ancora per introdursi di nascosto nel suo studio. Quelli che vide, furono fogli sparpagliati sul pavimento – nonostante aveva pulito quella stanza proprio il giorno precedente – e delle candele lasciate ancora accese che al suo passaggio si spensero, lasciando nell’aria un odore dolce.

La donna venne colpita da un fremito.

Improvvisamente, la paura prese il sopravvento su di se e si maledisse per la sua atroce curiosità. Facendo lunghi respiri si tranquillizzò e in seguito, aprì quella botola – con la chiave che aveva rubato da alcuni pantaloni del suo padrone – dando una svolta per sempre a quella che era la sua vita, poiché proprio lì avrebbe scoperto uno dei più orrendi segreti, il quale Alexander celava nel suo impavido cuore.

Nel posto in cui s’introdusse c’era freddo, ma soprattutto era presente una puzza di muffa, la quale s’impregnò nei polmoni della donna, facendola così tossire forte. Superato un breve corridoio, aprì la porta di legno che si trovava davanti a lei con tutto il coraggio che possedeva il suo corpo magro ed esile.

Quello che vide fu solo paura e orrore.

L’odore ferroso del sangue s’insidiò nelle sue narici e si coprì il naso con il braccio. Rimase scioccata quando vide quegli organi racchiusi in barattoli e poggiati su degli scaffali. Si accorse, poi, di strumenti chirurgici e ne afferrò uno in mano, osservandone la consistenza. Incominciò a pensare che Alexander avesse una sottospecie di passione per gli animali morti, essendo ignorante in materia.

“Forse li imbalsama…” pensò.

Quell’ipotesi fu smentita proprio quando vide davanti a se un tavolo lungo di ferro e un libro dalle pagine bianche, sporche di peccati. Deglutì forte e avvertì le lacrime quasi fuoriuscire dal forte nervosismo che provo in quell’istante. Tremolante si avvicinò al diario delle malefatte e le si gelò il sangue nelle vene quando vide quelle ciocche di capelli attaccate con la cera e quei i nomi scritti accanto con quell’inchiostro nero e penetrante; le si gelò il sangue quando vide proprio il nome di “Bastian Waynther”.

Improvvisamente, si sentì soffocare e quando si toccò la gola si accorse che qualcuno la stava strangolando. Cercò di dimenarsi e vi riuscì, ma quando si voltò, la faccia di Alexander Brown si stampò nei suoi occhi assieme al terrore. Lei incominciò a tremare, mentre l’assassino la fissò con uno sguardo accigliato.

Lui si avvicinò alla donna, la quale appoggiò la schiena al muro retrostante. Alexander le strappò i vestiti con foga e lei urlò, mentre l’assassino le poggiò una mano sulla bocca per zittirla. In quel momento, afferrò un coltello lentamente e sgozzò Ruth, facendola cadere priva di vita sul pavimento.

Alexander fissava quel cadavere compiaciuto, mentre nei suoi occhi si dipingeva tutta la crudeltà che teneva nascosta all’occhio umano. Tremava, sì, ma non gli importava.

<< Dovevate farvi gli affari vostri, piccola Ruth… >> disse, sghignazzando.

Afferrò il cadavere e lo posizionò su quel tavolo di ferro. In seguito godette nel sentire il suono delle membra squarciate, mentre commetteva quell’atto con il coltello che si era già macchiato parecchie volte.

Non resistette e ancora una volta leccò quel sangue sulla lama, dipingendosi quel peccato sul volto. Questa volta non c’era spazio per le contraddizioni, lui voleva solo squarciare ancora quella pelle e ansimare dal piacere ogni volta che lo faceva.

Sì; lui era un uomo dalle mille sfaccettature, ma solo una continuava a prediligere: quella di uno spietato e orrendo demone.

Il Collezionista Di CapelliOù les histoires vivent. Découvrez maintenant