4 - La ragione è dei folli

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A quasi un mese dalla notte del fatale incidente e del ricovero di Joker, le visite di Bruce si erano ormai trasformate in vere e proprie veglie passate al capezzale del malato, silenziose o animate da sommessi monologhi in cui l'eroe si rivolgeva al criminale sperando che potesse sentirlo. Le raccomandazioni e le ramanzine di Alfred non avevano alcun effetto, e nulla più riusciva a distogliere il giustiziere dal suo intento, nemmeno le preghiere degli amici più fedeli che pian piano cominciavano a prendere le distanze da lui. Bruce appariva in uno stato alquanto preoccupante; ormai non provava interesse per nulla all'infuori delle ronde notturne e dell'uomo che lui stesso aveva ridotto in coma. Joker era diventata una vera e propria ossessione; non passava giorno che Bruce non prestasse fede all'impegno che si prefissato di fargli compagnia e, anche quando era lontano da casa, il volto del criminale gli fluttuava davanti agli occhi e nella mente, costantemente, come se fosse un fantasma persecutore o un'immagine impressa nella retina. La consapevolezza del giovane eroe era maturata giorno dopo giorno, alla luce fredda delle lampade a neon, corroborata dai ronzii dei macchinari ospedalieri e da quella costante visione di fragilità e precarietà. Il viso del pagliaccio appariva fermo e immutabile, con la pelle bianca che lo contraddistingueva e le cicatrici a proseguimento della bocca, un tempo sorridente e beffarda, ora ridotta ad una linea piatta ed inespressiva.

Un pensiero si era radicato nella mente di Bruce facendosi strada fra la paura ed il rimorso, una domanda assillante che mai avrebbe immaginato potesse formulare: se Joker muore, che ne sarà di Batman? Questa domanda assurda e scomoda lo metteva profondamente a disagio, sia per il tormento intrinseco che essa comportava, sia perché andava a smantellare ogni solida certezza avuta fino a quel momento. Quante volte Joker aveva millantato la loro affinità, il fatto di essere due anime opposte e perciò complementari! E quante altrettante volte lui si era rifiutato di credergli, perfino di starlo a sentire, fieramente convinto che fra loro non ci fosse alcun possibile legame.. Dio, come si era sbagliato! Quel clown criminale, pur nella sua delirante follia era sempre riuscito a vedere le cose per come stavano, nella loro nuda e cruda verità, fermamente convinto di qualcosa che sembrava esistere solo nella sua testa e che invece adesso si rivelava reale e tangibile anche agli occhi del giustiziere. Joker aveva perfettamente ragione: lui e Batman erano complementari, due forze contrapposte in costante e pericolosa attrazione, lo yin e lo yang di quella marcia e caotica città d'America. Batman era il pallino nero nella metà bianca, Joker il pallino bianco nella metà nera. Le loro esistenze erano in qualche modo incastrate, coese, l'uno poteva agire se l'altro agiva; erano fatti per respingersi e rincorrersi in eterno, come in un loop infinito dove, ad un certo punto, si sarebbero fusi e confusi l'un l'altro.

Joker aveva ragione, aveva sempre avuto ragione.. E Bruce ormai non era più nemmeno spaventato o sconcertato per la cosa, semplicemente aveva imparato ad accettarla. Aveva raggiunto la consapevolezza e, con essa, in qualche modo aveva trovato un equilibrio interiore che riusciva a infondergli un minimo di serenità. Ma, al tempo stesso, questa nuova presa di coscienza gli pesava sulle spalle come un macigno proprio perché temeva di perdere il Joker ora che finalmente aveva compreso quanto fosse importante nella vita di Batman e, forse, anche in quella di Bruce Wayne.

* * *

Come ogni pomeriggio dopo pranzo, Bruce si era recato a far visita al Joker, annullando un impegno di lavoro ed un appuntamento con un'attraente dottoressa. Era già da parecchi minuti che il ragazzo fissava imperterrito il viso altrettanto immobile del criminale, sospirando di tanto in tanto e mantenendo una postura rigida e composta. Ad un certo punto l'eroe cambiò espressione e sul suo volto comparve un cipiglio severo e insofferente

< Svegliati dannazione! > esclamò brusco rivolgendosi al pagliaccio < Apri gli occhi e svegliati. Non faccio altro che vegliare e preoccuparmi per te da quasi un mese, questo me lo devi! >. Tacque, sentendosi improvvisamente stupido e patetico. Sospirò e fece un passo in avanti, a tesa china, posando una mano sulla fredda sponda metallica del letto e aggrappandovisi come se fosse un'ancora di salvezza.

Se fossi il tuo rimorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora