Come un vulcano

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Avevo sempre amato le feste, quelle organizzate da mia sorella in particolar modo. Riusciva ad equilibrare l'eleganza con i modi dozzinali degli invitati dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, in modo così sublime da rendere tutto divino. Quel momento però era tutto fuorché perfetto. Me ne stavo scomodamente seduto sulla poltrona reclinabile posizionata in salotto, ed osservavo le persona intorno a me, mentre bevevo il mio cocktail preferito, il Cosmopolitan. Le persone, per lo più colleghi di Sarah, giravano per la casa sorseggiando dai loro bicchieri e mangiando di tanto in tanto qualche stuzzichino. I miei genitori erano in cucina, i miei amici in ritardo come sempre ed io mi sentivo fuori posto come non mai.
Da quando avevo capito di amare Matt, non ero più riuscito ad essere me stesso. Nascondevo i miei sentimenti al mondo, neanche fossi un assassino. Avevo preso più volte in considerazione l'idea di andare da uno psicologo ma non avevo mai trovato il coraggio. Per Matt, io non ero stato il primo. Lui era dichiaratamente gay da più di dieci anni. Io invece era come se fossi vergine dal punto di vista sentimentale, perché fino a prima che lui entrasse nella mia vita, un anno e mezzo fa, avevo sempre desiderato le donne. Ammetterlo a me stesso fu molto dura, ma lui mi era stato vicino in ogni momento, e ogni giorno che passava, io l'amavo sempre di più.
Mentre pensavo a tutte queste cose, il mio cellulare squillò.

Da Sarah: obiettivo ore tredici.

Lei era l'unica che aveva capito, ma non aveva mai affrontato il discorso. Nei primi mesi si limitava a fare finta di niente, poi iniziò a fare battute, ma mai parlammo dell'argomento. Non ci riuscivo.

Alzai lo sguardo e rimasi di stucco.
Matt se ne stava nell'angolo parlottando silenziosamente con un tizio che non avevo mai visto. Indossava i jeans scuri e quel maglione color grigio che faceva risaltare i suoi occhi. La mano del tipo gesticolava in modo esagerato ed ogni tanto si posava sul braccio di Matt.
Non c'era dubbio. Erano venuti insieme e il mio stomaco iniziò a chiudersi piano piano. Poi il tizio si avvicinò al suo viso e lascio un bacio sulle sue labbra.
E fu la mia fine.
Il bicchiere mi scivolò dalle mani, il nodo della cravatta sembrava improvvisamente troppo stretto, le voci erano come ovattate, sentivo il suono ma non capivo le parole. Avevo caldo, ma non riuscivo ad alzarmi da quella maledetta poltrona. Vidi lo sguardo di Matt rivolto ai miei occhi, ma non riuscivo a leggere dentro nessuna emozione. E forse, questa era la cosa che mi faceva più male.

"Tesoro vieni, dobbiamo andare di là a prendere altri stuzzichini, ho bisogno del tuo aiuto. Puliremo dopo qui" mi disse Sarah per farmi alzare. La seguì in cucina e mi sedetti allo sgabello ancora stordito da quello che avevo visto, quando Matt entrò nella stanza.

"Noah, perchè fai cosi?"
"Perchè sono un cretino"
"E vero, sei un cretino. Ma non pensavo fino a questo punto. Tu non stai combattendo per me, non stai facendo niente per noi."
"E cosa dovrei fare secondo te? Andare in giro ad infilare la lingua a caso? Eh Matt? Devo fare come fai tu? E questo il tuo modo per dire che stai combattendo per noi?"
"No. Ho sbagliato, è vero. Ma ero arrabiato e deluso. Perchè tu non riesci ad ammettere che mi ami."
"Cosa succede qui?" le parole mi gelarono, come se avesse appena nevicato ed io fossi in costume.
Mio padre fissò prima me, poi Matt. Infine rivolse la parola a Sarah.
"Si può sapere di che diavolo parla tuo fratello?"
"Papà... io... ecco..."
"Tu cosa Noah? Cosa c'è?"
"Noi stiamo insieme"
Le parole di Matt vennero fuori come la lava di un vulcano. Incendiò e devastò tutto, lasciando dietro di se solo cenere pronta a volare via. Mio padre restò visibilmente scosso, ma si riprese subito e senza proferire parola uscì dalla stanza portando dietro di se tutta la sua delusione.

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